Plug and Play – Una società Usa e getta

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Plug and Play nasce dal pluri-premiato cortometraggio ad opera di Michael Frei, e viene adattato da Etter Studio nel 2015; è un’esperienza di gioco “punta-e-clicca” comica, surreale e disturbante, che esplora le relazioni umane di piccole creature antropomorfe.

Il gioco non dà alcuna istruzione, ma scopriamo presto di poter interagire con gli oggetti che vengono presentati sullo schermo. Si succedono una serie di scene, intervallate da pulsanti da premere e spine da staccare, che descrivono la relazioni umane in una forma allegorica ma non per questo meno cruda ed onesta. Ne analizziamo qui alcune:

Un omino con una spina elettrica al posto della testa corre forsennatamente sullo schermo. Possiamo decidere se toccarlo per fargli cambiare direzione o lasciarlo proseguire fino a schiantarsi contro un muro invisibile: in questo ultimo caso cade a terra perdendo conoscenza, ma un altro uomo entra in scena e prende il suo posto, ricominciando a correre. É questa la frenesia della vita, dove secondo l’autore prima o poi ci si scontra, esausti, contro un ostacolo insormontabile. Non c’è tempo per altro, bisogna solo correre, e nessuno è indispensabile: si è facilmente sostituiti da un altro personaggio, identico, perché ciò che sembra contare di più è solo la produttività.

In questa società de-personalizzante, anche un gesto umano come il porre una mano sulla spalla del vicino rischia di celare un intento violento: una lunga serie di omini, posti l’uno accanto all’altro, tocca il braccio del vicino fino ad arrivare al termine della fila. Il penultimo, tuttavia, invece di toccare delicatamente l’omino alla sua sinistra, lo spintona. Questo gesto innesca una reazione a catena da parte degli altri personaggi, che si spingono a terra l’un l’altro, delineando una competizione per emergere non con gli altri ma a discapito degli altri, in un rapporto umano che diventa falso e opportunistico.

Viene qui introdotto il tema principale, quello delle relazioni umane. Da citare in questo senso sono due scene successive, che mostrano il dialogo tra un uomo (la spina) ed una donna (la presa), e nelle quali ricopriamo uno dei due ruoli. Ci vengono proposte, di volta in volta, tre diverse frasi tra cui scegliere per replicare, ma nessuna di esse ci permette di uscire dall’incomunicabilità, dalla ricorsività, dalla sterilità: all’“abbracciami” segue un “non ne sono sicuro”, ad un “fa male” un “me ne vado”.

In questa visione tragica della società troviamo però una breve parentesi di speranza: ci vengono mostrati due omini le cui teste sono connesse da un filo che, se tirato in un certo modo, li avvicina fino a farli abbracciare. Amicizia e amore: anche un uomo ed una donna, una spina ad una presa, alla fine si uniscono. Ma ecco che ci viene subito presentato un rompicapo impossibile: riuscire a connettere tre fili tra loro. Dopo vari tentativi, ci viene mostrata un’altra fila di omini, accovacciati e forzatamente connessi l’uno all’altro: il primo della fila si stacca, esausto, e viene trascinato da noi per attaccarsi all’ultimo, in un ciclo infinito di rapporti effimeri e dolorosi.

Il gioco si conclude con una mano che tira il dito dell’altra finché non si stacca, mostrando che anch’esso non è null’altro che una spina: inserendolo nella presa, possiamo premere un interruttore che rende il dito rigido o molle. È questa forse la metafora più diretta dell’intero gioco, il quale si configura come una dura critica nei confronti della società, fatta ormai di legami fluidi, utilitaristici, individualistici, “accendi e spegni”. Una società in cui si è arrivati ad essere capaci di spegnere i sentimenti, e con essi la nostra Umanità, a comando.

GIOCABILITA’: 4/5
IMMERSIONE: 3/5
IMPATTO EMOTIVO: 4/5
MOTIVAZIONE: 3/5
CREATIVITA’: 5/5

USER EXPERIENCE: 4/5

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