Feels: XCOM

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Come l’articolo precedente su Halo, anche qui racconterò di momenti della mia vita di videogiocatore che mi sono rimasti particolarmente impressi per le emozioni suscitatemi.

L’articolo NON contiene spoiler per la trama di XCOM 2 (2016)

Non tutti i videogiochi hanno bisogno di trame da Oscar per farci legare ai suoi personaggi, e altri nemmeno di dialoghi ben scritti o cutscene emozionanti: per me questo è il caso di XCOM, nello specifico il 2 grazie alla sua funzione “Riserva personaggi”.

Certo, nessuno ci obbliga a ricreare persone esistenti…

XCOM 2 è un gioco strategico a turni, nel quale si comanda una squadra di 4-6 elementi dando ordini ai singoli soldati per contrastare la minaccia di una coalizione aliena. Prima ancora di avviare una partita, il gioco ci permette di crearci una serie di personaggi personalizzabili da far apparire come nostre reclute; potremo impostare nome, cognome, soprannome, nazionalità, voce, aspetto fisico, abbigliamento e altro ancora di ogni singolo soldato che andremo a creare. Prima di rendermene conto, avevo creato quasi quaranta personaggi diversi, decidendo di dare loro il nome di amici e conoscenti. Prima di avviare il gioco c’è ancora un’altra opzione che rende il tutto più celebrale: la modalità Hardcore che, indipendentemente dal livello di difficoltà selezionato, disattiverà la possibilità di salvare o caricare la partita ed effettuerà salvataggi automatici per ogni più piccola azione compiuta, costringendoci quindi a considerare bene le nostre scelte e rendendo ogni errore tattico definitivo, senza possibilità di tornare a un checkpoint. Una volta avviata finalmente la partita ci ritroviamo a disposizione una dozzina di soldati selezionati casualmente tra quelli della riserva, mentre gli altri restano disponibili ad essere assunti in un secondo momento caso di necessità o come ricompensa per lo svolgimento di determinate missioni. Visto che i miei personaggi non erano degli npc macchietta ma li avevo creati uno a uno, il coinvolgimento per le loro sorti è diverso rispetto ad altri videogiochi: man mano che si affrontano le missioni e si definiscono i ruoli per cui ogni soldato è più portato, comincio a crearmi delle preferenze, le ferite subite fanno restare alcuni per lunghi periodi in infermeria e lontano dall’azione costringendomi così a lasciare alla base i miei veterani preferiti per portare invece reclute inesperte. Ogni vittoria e ogni azione memorabile così hanno un valore affettivo diverso, in quanto sono collegabili non a un personaggio creato dagli sviluppatori che segue uno script definito a priori ma a un avatar che diventa quasi individuo.

Comandante, la cattiva notizia è che non ci sono buone notizie.

Quando un soldato cade in azione, infine, può essere una perdita non rimpiazzabile: si perdono le ore investite a sviluppare le sue abilità, il morale dell’intera squadra crolla, rischiando di mandare qualcuno dei membri nel panico, non permettendoci più di controllarlo per qualche turno; rimane un buco nei ruoli coperti rischiando di compromettere l’intera missione (e nei casi più gravi la campagna) e soprattutto si perde tutta la storia che ci si era creati per questo personaggio. Quando avvio una nuova campagna, alcuni miei amici si informano delle sorti delle loro controparti virtuali e conoscono quelle tesissime attese infinite prima di prendere una decisione, quando ci si rende conto di aver fatto muovere incautamente un soldato facendolo avvistare da 4 alieni diversi: si valutano decine di soluzioni possibili cercando quella che permetta di salvargli la pelle, per poi magari rendersi conto che non c’è.

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