Feels: Spec Ops: The Line

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Come nei precedenti articoli, anche qui racconterò di momenti della mia vita di videogiocatore che mi sono rimasti particolarmente impressi per le emozioni suscitatemi.

L’articolo contiene spoiler per l’intera trama di Spec Ops: The Line (2012)

Ci sono alcuni giochi che, nonostante abbiano ottime recensioni e mi vengano caldamente consigliati, non riesco proprio a convincermi ad acquistare. Spec Ops The Line era uno di questi, un gioco che non avevo mai sentito nominare ma che mi veniva descritto come bellissimo: in un’epoca in cui le demo erano ancora comuni mi sono scaricato la versione di prova e… no, niente, mi sembrava il solito shooter generico con qualche variabile ambientale, niente di interessante.

Flash forward di 2 anni: trovo il gioco scontato del 75% a meno di 10 euro e memore delle recensioni positive gli dò una chance, a un prezzo così non si nega a nessuno. Meno male che ho avuto quest’occasione, perché appena il gioco riesce a prendere il ritmo mi rendo conto che la demo non era sufficiente per apprezzarlo; le sensazioni che suscita non si limitano ad alcuni momenti specifici ma bensì a un crescendo di sentimenti che si dipana lungo tutto l’arco della trama, diventando di prepotenza uno dei miei giochi preferiti. Vestiamo i panni di tale capitano Walker, che assieme a due commilitoni ha il compito di penetrare in una Dubai distrutta da una fortissima tempesta di sabbia e mettersi in contatto con il colonnello Konrad e il 33° battaglione dell’esercito USA, rimasti bloccati da 6 mesi a Dubai dopo aver disertato la ritirata generale dalla città. Arrivati sul posto, scoprono il 33° in conflitto con i locali ed inizia così una lunga serie di conflitti a fuoco: fin qui a livello di trama non sembra molto interessante, ma già il nome del colonnello che cerchiamo dovrebbe far scattare qualche campanello.

Adams, Lugo e Walker

La ricerca del battaglione scomparso e del suo colonnello procede per quattro capitoli, fino a quando la squadra si trova forzatamente in conflitto con gli stessi soldati che dovrebbe salvare, per colpa dell’intervento di un agente della CIA infiltrato nella città in rovina: da qui c’è un crescendo di brutalità a cui la squadra assiste, tra conflitti interni tra i soldati del battaglione e fosse comuni in cui vengono gettati i civili dopo una esecuzione sommaria si imbattono in avamposto del 33° pesantemente fortificato e, non avendo altre opzioni, decidono di utilizzare un mortaio trovato in loco per aprirsi la strada, lasciando nelle mani del giocatore il compito di fare fuoco. Finito il tutto, bisogna attraversare l’avamposto: qui scopriamo che i colpi da noi sparati erano al fosforo bianco, una sostanza incendiaria che ha causato inutili e atroci sofferenze ai soldati e, come se non bastasse, nelle tende del campo troviamo dozzine e dozzine di civili, anche loro finiti bruciati dai nostri colpi; un tale scenario infernale non viene sorvolato, e Walker (oltre che il giocatore) si rende conto degli effetti delle proprie azioni.

Le conseguenze delle nostre azioni sono terrificanti

Dopo questo evento entriamo per la prima volta in contatto radio con Konrad, che ci metterà alla prova: di fronte a due uomini appesi a testa in giù, un civile e un soldato, e ci chiede di sparare a uno dei due, giustiziandolo per i crimini commessi in quei sei mesi. Se dovessimo rifiutarci, dei tiratori avrebbero ucciso tutti e due gli uomini appesi. Fatta la propria scelta, la squadra si avvia verso il grattacielo in cui si nasconde Konrad; lungo il tragitto i nostri compagni cominceranno sempre più a dubitare di noi e del nostro giudizio, chiedendosi se lo stress non stia avendo la meglio sulle nostre decisioni. D’altronde, pur di fermare il 33° dobbiamo subire un’altra decisione forzata, suggerita dall’agente della CIA: attaccare e distruggere le cisterne d’acqua in possesso al battaglione, unica fonte d’acqua disponibile, condannando sì i nemici alla sete e disidratazione, ma al contempo anche tutti i civili ancora sopravvissuti in città. A seguito di un conflitto a fuoco ci ritroviamo da soli, feriti e alle prese con i nostri demoni interiori e sensi di colpa, consci di aver condannato tutti a morte per la sete. Ritroviamo l’agente della CIA, ferito sotto un camion in fiamme: a noi la decisione se sparargli l’unico proiettile che abbiamo in testa o se lasciarlo morire bruciato. Riunitosi con i suoi uomini, Walker comincia ad avere allucinazioni, via via più vivide: si ritrova ad accoltellare un uomo che ha le fattezze di uno dei due commilitoni, a rivivere uno schianto in elicottero e a vedere il colonnello Konrad che gli spiega le ragioni della sua diserzione. Mentre la squadra ormai non si fida più del nostro operato, uno dei due membri viene sequestrato, torturato e impiccato dalla popolazione locale, esasperata dal nostro comportamento; alla vista del nostro compagno morto, potremo decidere di sparare sulla folla o di evitare ulteriori spargimenti di sangue, proseguendo comunque verso Konrad.

Konrad…?

Poco dopo anche l’altro membro del team rimane vittima, questa volta del 33°: rimane indietro per permetterci di entrare nel rifugio del colonnello e finalmente fronteggiarlo, ma dopo una lunga sequenza allucinatoria in cui è ormai difficile distinguere la realtà dalla fantasia della mente di Walker, si scopre che il colonnello è morto da mesi; tutti i dialoghi via radio, le prove a cui ci ha sottoposto e le scelte compiute erano un parto della mente di Walker che, dopo gli eventi traumatici di Dubai e del bombardamento di fosforo bianco da lui compiuto sui civili, andava via via impazzendo. A differenza di moltissimi altri giochi che glorificano il combattimento e la guerra Spac Ops: The Line ce ne mostra gli orrori, seguendo un soldato affetto da disturbo post traumatico da stress nella sua discesa all’inferno e lasciando al giocatore di che riflettere; è sicuramente un titolo d’impatto che rimane impresso nella memoria di chi lo ha potuto giocare, un’esperienza che ci fa uscire con l’amaro in bocca da una guerra in cui non ci sono vincitori ma solo vinti.

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2 Commenti

  1. Ambro Aprile 12, 2017 al 9:33 am - Rispondi

    Secondo me il valore di Spec Ops: The Line dovrebbe essere diviso in due (se non tre) macro argomenti: narrazione, gameplay, “morale”.

    Per quanto riguarda il gameplay vi sono recensioni e recensioni che ne parlando: è un buon TPS, nulla di spettacolare ma che usa strumenti ben calibrati per incanalare la narrazione. Sono gli altri due aspetti ad essere particolarmente interessanti anche se, in un certo assurdo senso, contrapposti. Mi spiego…

    The Line è un ottimo titolo narrativamente parlando se il giocatore è un adolescente cresciuto con Call of Duty, Battlefield et similia. Al giorno d’oggi l’informazione latita e il rischio di trasmettere l’idea della guerra come pathos degli eroi (come era ad inizio 900 e che ha portato alla WW1) è abbastanza alto. The Line ha il pregio di svegliare l’eventuale giocatore mettendolo di fronte al marcio che c’è tra un assalto e l’altro. Tutti ritengono “valido” morire per l’esplosione di un’atomica dopo aver espugnato un forte nemico. Quanto accettano di infilarsi una pistola in bocca dopo aver massacrato civili?

    Il discorso morale però è diverso: la costrizione a cui spinge il gioco porta ad un sicuro impatto emotivo nell’immediato ma non lega la responsabilità delle scelte al giocatore. Come già scritto altrove, non mi sento in colpa se mi costringi ad uccidere un prigioniero al posto di un altro se il mio rifiuto comporta la morte di entrambi. Non mi sembra di fare del male se mi dai come scelta, alla meglio, il male minore. Posso trovare terrificante l’idea che un civile, nella sua terra, venga annichilito da un bombardamento al fosforo, ma non posso legare il peso di quell’azione al mio IO in quanto mi è stata imposta. Personalmente, nello specifico, avrei attraversato il campo sparando ai soldati.
    Riporto: “Spec Ops: The Line offre quattro finali, uno più allucinato dell’altro. Nessuno veramente lieto. Il problema è che il finale poggia su delle fondamenta imposte. Io giocatore non ho scelto, ho solo mosso i fili perchè Walker potesse andare avanti. Se ci fosse stata scelta avremmo passato del tempo a pensare se era il caso di attraversare l’accampamento combattendo, rischiando di fare il resto del gioco con munizioni scarse, o di perdere un compagno. Oppure avremmo deciso di bombardare i nemici, facendoli morire tra atroci sofferenze… per poi scoprire che in mezzo ai nemici c’erano anche dei civili. Quella non sarebbe stata una scelta da cattivo, ma semplicemente sbagliata. Alla fine della fiera il gioco ci avrebbe portato al finale cattivo non perché lo volevamo ma perché non eravamo stati in grado di prendere le decisioni giuste.”

    • Teo Petruz Aprile 12, 2017 al 12:21 pm - Rispondi

      Pur essendo un titolo su binari con una storia guidata questa secondo me è d’impatto: sono d’accordo, mancando la scelta è difficile sentirsi in colpa per l’accaduto, e per questo i (pochi, purtroppo) momenti in cui sono presenti delle scelte binarie danno spazio al giocatore per dire la sua: sparare o non sparare sulla folla? Io ho optato per la seconda, ma solo dopo una riflessione sui motivi alla base dell’accaduto; da un lato c’è un compagno che ci ha seguito per svariate ore di gioco brutalmente assassinato, dall’altro la massa furente per le azioni da noi compiute fino a quel momento. Ho finito per dare ragione ai civili ed evitare ulteriori sofferenze; lo stesso posso dirlo della pattuglia all’epilogo del gioco.
      Se l’intero gioco si basasse su una serie di “libere” scelte difficili sarebbe un’esperienza narrativa senza eguali, ma pur essendo limitate ad alcuni momenti precisi trovo che la riflessione proposta non sia transitoria ma anzi segnante; non a caso a 5 anni dall’uscita del gioco se ne può ancora discutere e si possono ricordare gli eventi salienti, caratteristica non da poco.

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