L’onore!
Ho perduto quanto in me era immortale;
e ciò che resta è la parte bestiale.
(William Shakespeare)
La riflessione che sto per fare si scosta dalla psicologia e si avvicina alla filosofia. Attraverso una razionalizzazione scientifica non sarebbe possibile affrontare un dilemma morale che, puntualmente, mi pongo ogni volta che accendo la Play e inizio a giocare a For Honor.
Sono sempre stato un amante degli FPS ma appena visto su youtube il primo Gameplay del nuovo gioco Ubisoft ho pensato “ora si combatte davvero”; finalmente si può duellare e sporcarsi le mani come deus vult nel mondo virtuale.
Sono quel tipo di videogiocatore che viene letteralmente fagocitato dai giochi di mio gradimento e, quando ne trovo uno, quasi ogni altro gioco in mio possesso passa in secondo piano. Mi faccio rapire, trasportare dalle dinamiche del gameplay e dalle sfumature che le accompagnano. Ma, ancora più importante, nello scorrere dei dati e dei pixel che prendono forma, cerco, come mi è possibile, di carpirne l’essenza. Bene, For Honor mi piace un sacco e nonostante i problemi di connessione lo trovo un titolo dal Multiplayer entusiasmante. (per chi non conoscesse il gioco ecco un paio di link utili: https://www.youtube.com/watch?v=C9iE97vGlXM ; https://www.youtube.com/watch?v=s2_ek6uAnFo )
Ma è stato al primo impatto col gioco che il dilemma si è posto, monolitico, davanti ai miei occhi. Vi racconto come si è palesato e vi garantisco che lo ha fatto in maniera decisamente poco garbata.
Dopo aver completato i tutorial necessari per partecipare ai PvP sento già di essere padrone del mio personaggio (ho scelto il warden, un cavaliere armato di spada lunga, perché nel mio immaginario è come sarei sceso io su un campo di battaglia), mi sento pronto. Realizzando poco dopo il mio enorme errore di valutazione, decido: affrontiamo qualcuno.
La scelta ricade su “Eliminazione”. I salti nel buio mi piacciono e faccio partire il matchmaking senza avere la minima idea di quale sia il funzionamento di questa modalità. Si gioca in squadra: “Figo!”. Rullo di tamburi e personaggi che appaiono, armi in pugno. Schermo nero, visuale della mappa dall’alto, “Primo round”.
Si comincia.
Davanti a me c’è un figuro dalle fattezze orientali, un orochi. Non ci sono segni di altri avversari o dei miei compagni. “Sembra un uno-contro-uno”, penso, ma nemmeno il tempo di comprendere quello che sta accadendo e il samurai si porta la spada al fianco e carica, a testa bassa. Le lame si incrociano, le mosse sono poco raffinate, l’inesperienza guida i nostri personaggi ma non per questo lo scontro risulta poco divertente, anzi. Colpi vanno a vuoto e a segno, la vita di entrambi si accorcia drasticamente mentre le nostre spade vibrano, avvicinandoci al colpo decisivo. Sono così rapito dal duello che non noto dei teschi apparire al posto degli emblemi di quelli che erano i miei compagni. Ho pochissima salute e ancora meno resistenza ma un mio guard break va a segno, la mia lama si appresta a compiere un arco da destra mentre la visuale si sfuma di grigio: può essere l’ultimo fendente a mia disposizione, ma può essere anche quello finale. “Sei mio”. Sto assaporando quella sensazione di realizzazione che pervade ogni videogiocatore quando impugna il joystick. Sono ad un secondo dal battere il mio avversario e sono sicuro che anche lui, in quell’istante, si sia rassegnato ad una morte onorevole. In questa sequenza frenetica c’è un’altra cosa a cui non ho prestato caso. Mentre schiacciavo il tasto “R2” per porre fine alla tenzone, un piccolo punto esclamativo rosso è apparso alla mia sinistra. L’istante successivo, un motorino armato di alabarda si è abbattuto sul mio warden portandomi giusto qualche metro più in là. Cado a terra perché privo di “resistenza”. “Ad mortem inimicus!”. Parole che non promettono niente di buono ed infatti questa volta l’alabarda si posiziona dolcemente sulla mia tempia ponendo fine alla mia vita virtuale. Nella chat della partita appare un “Mi spiace”. Nella mia testa appare un “Eh, grazie al ca**o”.
Dopo le imprecazioni mi sono chiesto: dov’è finito l’Honor? Ecco qui il mio dubbio. Ed ecco come, da quel giorno, ho iniziato a fare caso a come si comportano i vari players. Mi sono iscritto a diversi gruppi online cercando di snocciolare la questione ed ho visto che il dibattito su questo argomento è più acceso che mai. Ho letto svariati post di persone che si lamentavano di comportamenti poco onorevoli o, viceversa, di altri giocatori che si riunivano sotto la bandiera “Se posso lo faccio, se vuoi l’onore fai i “Duelli” (Modalità 1vs1). Il gioco consente il libero arbitrio, ognuno ha il diritto di comportarsi come vuole quindi si arriva ad un punto in cui un dilemma del genere non può trovare soluzione in una dinamica di giusto o sbagliato. L’obiettivo di questo articolo non è “giudicare” un modo di giocare quanto di comprendere la sua pertinenza a quella che è la natura del gioco, la sua meccanica più “intima”. Quindi provo a fare luce su questa discussione attraverso la comprensione di ciò che è l’onore, perché, se siete un tipo di giocatore simile a me e giocate ad un titolo aspirando a coglierne l’essenza che lo costituisce, Nomen omen (“un nome un destino”), For Honor vuol dire “per l’onore”.
Se provate ad cercare su Google “definizione di onore” e selezionate una fonte autorevole (come potrebbe esserlo il vocabolario Treccani http://www.treccani.it/vocabolario/onore/) noterete che, più che una definizione, si apre una tesi di laurea. L’onore è multiforme e multistrato, è soggettivo, oggettivo, sociale in modo biunivoco (riconosciuto a me dagli altri o viceversa). L’onore è virtù, ossia una buona abitudine che portano a fare del bene, ma è anche valore, quindi un principio guida nella vita di un individuo o di una società.
Vi riporto le definizioni più pertinenti al nostro contesto:
onóre, dal latino honos (o honor) –ōris] In senso ampio, la dignità personale in quanto si riflette nella considerazione altrui (con sign. che coincide con quello di reputazione) e, in senso più positivo, il valore morale, il merito di una persona, non considerato in sé ma in quanto conferisce alla persona stessa il diritto alla stima e al rispetto altrui.
Come possiamo leggere nella prima riga l’onore corrisponde al diritto di rispetto da parte degli altri come conseguenza premiale del contemporaneo dovere di rispetto degli altri. La considerazione altrui, in entrambe le direzioni, è fondamento dell’onore. La seconda parte è traducibile con “Il merito di una persona non derivato da un oggetto, uno status, uno scopo raggiunto (come potrebbe essere la vittoria, nel caso di For Honor), ma un valore, un principio guida, che rende una persona degna di essere rispettata e stimata”.
Ma il “paragrafo” che ho preferito leggendo il papiro Treccani è stata in assoluto questo:
Valore per lo più attenuato, ma con accezioni particolarissime, acquista in unione con il verbo fare. Con soggetto di persona (più raramente di cosa), fare onore a qualcuno, essere tale o comportarsi in modo che egli possa essere orgoglioso di noi perché l’onore, la gloria, i riconoscimenti che noi otteniamo si riflettono anche su lui (per i rapporti che ci uniscono):
Ed è proprio questa parte che ho apprezzato di più del concetto di onore e che mi ha portato ad una plausibile conclusione della mia riflessione: anche se perdo, comportandomi con onore avrò vinto. Perché? Traduco nel gioco: ho la possibilità di affrontare un nemico e che sta già combattendo contro un mio compagno ma decido di aspettare che il loro duello finisca, prima di affrontarlo. Il mio comportamento è onorevole quindi io sto “facendo onore al mio avversario” e quando mi è capitato di trovare giocatori “onorevoli” li ho sempre apprezzati e, in un certo senso, mi sono sentito quasi orgoglioso di combattere con qualcuno che sta rispettando il mio “essere guerriero” all’interno del gioco. Quindi anche nel caso di una mia successiva sconfitta io avrò comunque ottenuto un guadagno.
Per comprendere meglio come questo avvenga è necessario unire i significati emersi da entrambi questi estratti. Comportandomi onorevolmente si innesca un affascinante meccanismo legato alla dinamica che caratterizza l’ultimo frammento dell’ultima parte di definizione: “… l’onore, la gloria, i riconoscimenti che noi
For Honor è solo un gioco, niente di più vero, ma anche un gioco può essere fonte di divertimento e, in un senso più ampio, di gratificazione (altrimenti non ci giocheremmo).
Allora la domanda è: cosa vi gratifica? A questo quesito ci sono diversi tipi di risposta: “vincere”, “le statistiche”, “ammazzare tutti”. Queste cose possono essere portate a termine, o perseguite, anche in modo onorevole. La mio sta appunto nel vedere l’onore perché significa condividere l’anima del gioco , accettare lo ius soli del campo di battaglia: il diritto tanto alla morte quanto all’onore.
Anche se nel gioco ci sono modalità che presuppongono la “zuffa”, come “Schermaglia” o alcune interpretazioni di “Mischia”, nelle altre modalità è sempre possibile scegliere come comportarsi. Disse Anton Cechov: “L’onore non si può togliere, si può solo perdere”. Il mio invito va quindi a tutti quei giocatori che scelgono di fregarsene del fatto che un avversario stia combattendo contro un altro giocatore (o addirittura contro altri due) e si avventano sul malcapitato spammando top heavy. Vi ritenete giocatori forti? Affrontate l’avversario lealmente (sul concetto di lealtà si potrebbe scrivere un altro articolo ma penso che tutto sia lecito in combattimento [cfr burroni], così come è lecito mettersi d’accordo sull’accettare o meno alcune regole non scritte prima di iniziare a combattere [cfr per evitare i burroni]). Potrete essere battuti, questo è vero, ma nella vita ed in ogni gioco si impara più dalle sconfitte che da certe vittorie. Se volete migliorare davvero, combattete davvero. Se ritenete di non dover migliorare, dimostratelo!
Per quanto siano la minoranza, esorto i giocatori che hanno scelto la mia stessa strada a non mollare. Citando Baltasar Gracian: “Un uomo d’onore non dovrebbe mai dimenticare quello che è solo perché vede quello che gli altri sono”. Se avete maturato questa dote, se avete compreso l’essenza di For Honor, è come se vi foste cristallizati. Una volta diamanti, non tornate ad essere pietra.
Buona guerra a tutti.