Secondo l’indagine dell’Istituto IARD per il Centro di Orientamento Pastorale, denominata “Giovani, religione e vita quotidiana” e portata a termine nel 2006, la maggior parte dei giovani inizia ad allontanarsi dalla Chiesa e dalle attività della Parrocchia tra i 18 ed i 21 anni, per poi riavvicinarsi alla spiritualità verso i 30 anni. Eppure solo una minima parte di essi torna a frequentare la Chiesa perché, a detta dell’indagine, il clero non è in grado, il più delle volte, di raccogliere il desiderio del giovane di rientrare in contatto con la religione.
Per far fronte a questa problematica, tra le iniziative di riavvicinamento da parte della Chiesa nei confronti dei giovani si contano varie proposte più o meno riuscite, la più recente delle quali è il gioco Follow JC Go, la cui uscita è stata benedetta dallo stesso Papa Francesco. Ricalcando le meccaniche di gioco e l’ambientazione di Pokémon Go, questa app per iOS e Android ci spinge a camminare per la città “catturando” Santi, Beati e altre figure bibliche rispondendo ad alcune domande sul loro conto, per formare un e-team (Squadra di Evangelizzazione). Si hanno a disposizione diverse risorse con cui proseguire nel gioco: pane, acqua e spiritualità. E’ inoltre possibile mandare messaggi ad altri utenti per conoscerli e partecipare insieme all’analogo dei raid, le “opere di misercordia“.
Nonostante l’innovatività dell’idea, ad uno sguardo più attento si palesano forti criticità per quanto concerne le meccaniche di gioco:
1. L’icona del Denaro
“Per acquisire pane, acqua e momenti di spiritualità è necessario avere monete nel proprio portafoglio: queste possono essere recuperate camminando in giro per la città, guardando un video pubblicitario (che genera introiti per lo sviluppatore, la Fondazione Ramón Pané) oppure facendo direttamente una donazione alla fondazione.” (Corriere della Sera).
Relativamente a queste righe, bisogna necessariamente considerare che una rilevante fetta di critici cova rancore verso un Cristianesimo, e specialmente un Cattolicesimo, che viene visto come attaccato al soldo: per questo il doppio rimando monetario, a livello psicologico e pratico, non può che essere dannoso.
Dal punto di vista del game design e delle strategie di comunicazione, sostituire al denaro da raccogliere sulla mappa una figura più neutrale e positiva, come colombe [Gen 8, 6-13] (o anche delle fiammelle di Spirito Santo! [At 2, 1-11]), sarebbe stato più appropriato rispetto al pur storicamente fondato “denaro d’argento”.
Il secondo ruolo del denaro all’interno del gioco è potenzialmente ancora più problematico: le donazioni (dirette o in forma di pubblicità) alla Fondazione Ramón Pané, sviluppatori dell’applicazione. Tale Fondazione, intitolata al primo evangelizzatore nelle Americhe e fondata nel 1994, si occupa proprio di presentare il Vangelo tramite i “nuovi linguaggi della società di oggi (…) in tutte le forme di espressione, comprensione e comunicazione” (qui il sito dell’Associazione), dunque puramente di evangelizzazione. Questa constatazione ci porta alla seconda macro-problematica relativa a questa app:
2. Le Opere di Bene Virtuali
Un terzo modo per aggiungere monete al proprio portafoglio è quello di superare missioni o “opere di bene virtuali” (Corriere della Sera).
Dalle fonti esaminate e dallo stesso sito della Fondazione non è pienamente chiaro se tali opere di misericordia siano reali o si svolgano solo all’interno del gioco, come invece afferma esplicitamente il Corriere. Anche considerato che lo scopo del gioco è limitato all’evangelizzazione, questa questione risulta essere particolarmente importante ma scarsamente affrontata e sottolineata: se il gioco è stato creato con l’intento di invogliare i giovani a “riabbracciare la cristianità” oppure a risvegliare nei credenti la voglia di essere davvero coinvolti nella Chiesa, sarebbe meglio che le opere di carità siano reali invece che virtuali, con una serie di associazioni riconosciute e convenzionate che riconoscessero dei punti EXP.
Tale strettissima interconnessione tra Massive(ly) Multiplayer Online (MMO) e strutture sociali non sarebbe stata infatti una novità per il mondo videoludico, e specialmente per quelli che vengono definiti Serious Games (i.e. giochi con intenti educativi oltre che di intrattenimento): una delle figure che per prima si è occupata di tale tipologia di giochi, che connettono reale a virtuale e per questo denominata “alternate reality gaming“, è stata la game designer e autrice Jane McGonigal. Negli anni Duemila ella ha disegnato e programmato una serie di app simili, che fornivano punti in-game per buone azioni fatte nei confronti di un altro giocatore (da un complimento ad un semplice sorriso) oppure per l’upload di video in cui il giocatore ballava in luoghi pubblici insieme a sconosciuti.
Follow JC Go, così come si presenta ora, fatta riserva per la conferma della virtualità delle Opere di Misericordia e la positiva possibilità di incontrare altri fedeli e “fare comunità” durante i raid, finisce per girare esclusivamente intorno alle donazioni e ad una forma di istruzione quasi catechistica, un’enciclopedia di sterili nozioni su Vita, Morte e Miracoli dei Santi: un disastro anche e soprattutto dal punto di vista delle pubbliche relazioni, proponendo un contenuto in cui il denaro è reale e le opere di bene, invece, virtuali.
Sfruttare un videogioco così famoso da essere diventato virale è già una mossa rischiosa di per sè: lo sfruttamento di un meme da parte di qualcuno che si trova al di fuori della comunità di riferimento viene percepito come un’idea forzata e non autentica, e dunque il più delle volte rifiutata dalla comunità. Oltre a ciò, sfruttarne le meccaniche in modo asettico, solo perché percepite come di successo, tralasciando completamente l’impatto dei contenuti della propria stessa applicazione causa un’ulteriore perdita di credibilità presso quella popolazione di riferimento che si voleva invece promuovere, dando vita a nient’altro che un sottoprodotto opportunistico.
Con grande sconforto si palesa, ancora una volta, che sono il peso della superficialità e il mancato coinvolgimento di tutte le parti in gioco (game designers, esperti di comunicazione e, in questo caso, teologi) a rendere l’applicabilità dei Serious Games così profondamente problematica.
Insomma, bene ma non benefico