Non fatevi ingannare dalle apparenze.
The Town of Light, degli italiani LKA.it, non vuole spaventarvi con zombi o creature demoniache che attendono l’ignaro giocatore dietro ogni angolo. Le sue intenzioni sono ben altre, quelle di raccontarvi l’orrore vissuto da Reneè, rinchiusa nel manicomio di Volterra a soli 16 anni, nel pieno dell’epoca fascista.
La motivazione? Considerata “pericolosa per sé stessa e per gli altri e di pubblico scandalo”, questo quanto riportato dalla questura.
Il videogioco è ambientato nell’ex ospedale psichiatrico di Volterra, maniacalmente riprodotto dagli sviluppatori grazie a minuziosi sopralluoghi. Un edificio in decadenza, in cui l’orologio si è fermato agli anni ’30 e in cui ogni stanza, ogni oggetto, ogni sbarra arrugginita sembra voler raccontare l’orrore vissuto dentro quelle mura. Un luogo che ha visto casi analoghi a quelli di Reneè svariate volte dal 1887, anno della sua fondazione, fino al 1978, in cui l’entrata in vigore della legge n.180 ne causò la chiusura, assieme agli altri manicomi italiani.
Una Reneè adulta, solitaria e tormentata decide di trascinarsi in quel luogo, ormai dimenticato. Più esploriamo quelle stanze buie e più conosciamo la sofferta storia di Reneè, comprendendo che quella ragazza aveva realmente bisogno di aiuto. Tuttavia, la sua debole voce non aveva trovato orecchie che la ascoltassero, non in quel manicomio, il cui obiettivo non era lenire le sofferenze dei pazienti, ma quelle dell’opinione pubblica.
Nel gioco ci troveremo ad avanzare, con passo pesante, alla ricerca di indizi che possano aiutarci a far riaffiorare i ricordi, il tutto nella più totale solitudine, dato che le interazioni sono ridotte al minimo e dirette esclusivamente ad oggetti.
Ecco perché definirei The Town of Light un’esperienza, più che un videogioco.
I ragazzi di LKA.it hanno affrontato il tema della follia da un nuovo punto di vista in ambito videoludico, designando come “villain” il manicomio di Volterra, che ha fatto dell’abuso fisico e psichico la sua arma di controllo e repressione. La diretta conseguenza di ciò è la tragica presa di coscienza rispetto all’esistenza di un sistema che spesso diventava una fabbrica di alienazione, che nascondeva persone sgradite o “scomode” per la società, ignorando la sua originaria funzione, ovvero quella di fornire aiuto e supporto psicologico. Quello dipinto in The Town of Light è un ambiente in cui i pazienti diventano le vittime, incapaci di fuggire da un vortice che li condanna all’oblio, messi a tacere dalle percosse e annullati da sedativi ed elettroshock.
Nonostante quanto presentato nel gioco, però, è importante sottolineare che tali eventi non sono generalizzabili a tutti i manicomi aperti all’epoca e che alcune delle pratiche utilizzate, fra cui l’elettroshock, erano accettate e condivise dall’opinione scientifica. Quella mostrata da LKA.it è la storia di una ragazza e dei suoi incubi, ma non vuole essere una condanna ai manicomi in Italia quanto, piuttosto, uno spunto per approfondire la storia e il funzionamento che si cela dietro a tali sistemi.
Detto ciò, vi lascio con una delle citazioni a mio avviso più potenti presenti nel gioco, che prende alla gola e che mette a nudo la sofferenza di Reneè e la profonda apatia che la accompagna:
“Non c’è nessuno per me, più nessuno, la solitudine è strana, rende tutto così ovattato, rallentato… è un urlo senza fine, che non emette nessun suono, un grido silenzioso, non riesco più a distogliere lo sguardo da me stessa, non uscirò mai più da questo posto, non c’è nessuno per me là fuori, queste pareti sono divenute la mia pelle e la misera disperazione al loro interno la mia anima senza voce”.