Man of Medan – Ciò che ci spaventa è reale?

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Recentemente mi sono trovato a riflettere sul perché sia affascinante giocare ai giochi di paura nonostante dentro di me senta, almeno inizialmente, una sorta di resistenza a farlo. Ricordo quando provai la beta di Dollhouse, ma ancor prima quando fui stregato da Devotion (gioco di Red Candle Games ormai raro da trovare dopo che la Cina ne obbligo il ritiro dal mercato per motivi politici), dal quale non ho saputo staccarmi. Lanciandomi in ben tre run di fila, mi sono poi fermato a riflettere, da profano del genere videoludico, sul perché possa aver riconosciuto qualcosa di magnetico all’interno di una narrazione che, complice la grafica realistica, al tempo stesso mi aveva angosciato e spaventato. Oltre alla bella storia, è possibile trovarci una sorta di sfida, un superare qualcosa di insito nell’essere umano e che, istintivamente, lo protegge da ipotetiche minacce o situazioni di discomfort. Giochiamo agli horror per questo? Personalmente, ma è solo uno dei tanti aspetti che mi hanno fatto interessare al genere, credo che ciò che mi attiri di più sia il fatto che, nello spaventarsi e nel cercare di spaventare, si possano cogliere sfumature peculiari della nostra natura più profonda e ancestrale che, non potendo esprimersi liberamente nel quotidiano, trova un’espressione strutturata e appagante in queste esperienze, le quali al tempo stesso esorcizzano questa dimensione più segreta del nostro essere; esorcizzano, in breve, ciò di cui abbiamo paura. Esattamente come un bambino teme il buio perché, non sapendo cosa ci sia dentro, immagina entità sovrannaturali per colmare quel vuoto di conoscenza e lenisce la paura rendendo noto l’ignoto, così può darsi che, ma è solo un’ipotesi, si giochi ai videogiochi horror per fare altrettanto.

L’esperienza più recente è quella di Man of Medan, gioco di Supermassive Games uscito lo scorso 30 agosto su tutte le piattaforme.

Narrazione

La narrazione è molto semplice, forse per questo efficace, sebbene superficiale nella sua evoluzione. Nonostante possa essere una prima descrizione che suscita tutt’altro che interesse per il gioco, è forse questa sua connotazione poco approfondita che permette di dare risalto al gameplay e quindi al tema principale per questa tipologia di gioco: la scelta. Se da una parte il canovaccio della storia è poco articolato, esso cambia e prende forme e sembianze diverse a seconda delle scelte che il giocatore compie. Nei panni dei 5 personaggi (se si gioca in singolo) di una parte di essi (se si gioca online, mentre il resto della squadra è gestito dall’altro giocatore) o di uno solo (se ci giochi con gli amici nella modalità Serata al Cinema, dando a ognuno un personaggio da gestire), il giocatore compie scelte che ricadono anche sugli altri personaggi, determinando quindi situazioni a cascata (seppure l’albero delle possibilità sia in realtà relativamente limitato) che rendono la narrazione più ricca di quanto sembri a primo acchito e senza dubbio coinvolgente, oltre ad offrire un’alta rigiocabilità che, anzi, rende nelle run successive più interessante ancora esplorare le possibilità alternative negateci dalla prima mandata.

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Anche i rapporti tra i personaggi, che presentano una caratterizzazione, forse volutamente, un po’ approssimativa, sono determinati dalle decisioni che giocando si prendono in merito a suddette relazioni, influenzandole in qualche maniera. In più, le scelte compiute vanno a definire alcuni tratti della personalità dei singoli personaggi, che influiscono sulle opzioni di scelta possibili nelle rocambolesche e terrificanti situazioni in cui vanno a trovarsi di volta in volta.

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Il tutto è giocato, per concludere la descrizione più strettamente tecnica di Man of Medan, come un’avventura grafica. Esplorando le stanze e i corridoi si trovano punti di interazione con l’ambiente e e con gli oggetti che forniscono indizi su cosa è avvenuto nella nave fantasma o su cosa potrebbe succedere, in una sorta di premonizione che aiuta a guidare le proprie scelte verso gli esiti desiderati. Sebbene il sistema di controllo poco reattivo, con la complicità di una scelta registica cinematografica, faccia a volte sbattere sugli stipiti delle porte o su oggetti non direttamente visibili per l’inquadratura del momento, al tempo stesso consente un’immersione ragguardevole nella narrazione e nel contesto di gioco, non richiedendo grosse abilità nella gestione dei comandi, salvo i giusti riflessi. Infatti, anche nel corso delle cinematiche può essere richiesto di eseguire una serie di pulsanti per far sì che il protagonista di turno eviti l’imminente minaccia di morte.

Un po’ di psicologia

Senza indugiare in tecnicismi macchinosi, quel che mi è sembrato particolarmente interessante è la “spiegazione” della paura che viene data nel gioco. Nonostante gli innumerevoli jump scares che talvolta sono risultati eccessivi, un elemento ha attirato la mia attenzione. Infatti, tutte le mostruosità, le immagini angosciose e ansiogene che si palesano agli occhi dei personaggi trovano al termine dell’avventura una spiegazione logica che, al di là dell’origine chimica nello specifico della storia di Man of Medan, può essere riscoperta anche nell’esperienza quotidiana, psicopatologica o meno che sia, di tutti noi esseri umani.

Disturbi della senso-percezione

In Man of Medan ho notato un riferimento a tre dei disturbi della senso-percezione, noti anche nel linguaggio comune: illusioni, pseudoallucinazioni e allucinazioni. 

Quest’ultime le conosciamo tutti e si riferiscono a quelle percezioni che vengono avvertite da una persona senza che vi sia una corrispondenza con uno stimolo reale, ma le si credono reali. Le pseudoallucinazioni invece si possono definire come disturbi allucinogeni provenienti dalla propria mente, non per forza in forma patologica, riconoscibili coscientemente come surreali. Infine, le illusioni altro non sono se non percezioni falsate di elementi realmente esistenti, i quali si combinano con altri fattori situazionali creando un tutto percepito erroneamente… e può succedere a tutti! 

Per farne subito un esempio offerto da Man of Medan, in uno dei passaggi obbligati della narrazione si entra in una stanza in cui sembra esserci un mostro ma, accendendo la luce nel momento culmine della tensione, si scopre che è solo un ammasso di oggetti con un cappello appoggiato sopra. 

 

 

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In altre occasioni il titolo propone vere e proprie allucinazioni, che niente hanno a che vedere con la realtà. 

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Esattamente come accade quando ci avventuriamo nel corridoio di casa al buio, dopo aver visto un film di paura, e scorgiamo un omone alto alto in quello che in realtà è un attaccapanni, anche in Man of Medan le illusioni in particolare, ma anche le allucinazioni, prendono la loro forma in coerenza con il lo stato emotivo del personaggio, a maggior ragione in situazioni fortemente stressanti, come quella raccontata da Supermassive Games. E così troviamo un Brad che vede il cadavere di suo fratello Alex a causa del forte timore di perderlo in quella assurda circostanza, o una Fliss che rimane aggrovigliata in una foresta di braccia, paura dettata dal terrore di rimanere bloccata in quell’inferno, e così via. Gli altri esempi li lascio scoprire a te!

Quel che è certo è che la paura può assumere molte forme, ma la cosa peggiore è scoprire che è la nostra mente a darle colore.

 

Fonti:

Telles-Correia, D., Moreira, A. L., & Goncalves, J. S. (2015). Hallucinations and related concepts—their conceptual background. Frontiers in psychology6, 991.

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