The Last of Us è uno di quei videogiochi in cui tutto sembra accadere in fretta e, quando arrivi ai titoli di coda, sei lì che poggi il joystick, un po’ smarrito, con in testa tante di quelle domande e quel desiderio “famelico” di volerne di più.
I titoli di coda di fanno capire che tutto ha una fine, è un violento monito che colpisce tutti coloro che si sono calati in quest’opera. In The Last of Us avviene questo: una completa dipendenza nei confronti dei personaggi che si muovono sullo schermo. Li osserviamo, giudichiamo, disprezziamo. Entriamo nella loro vita, seppur nata da un’opera di fantasia, e allo stesso tempo facciamo entrare questi personaggi nella nostra, per farci lasciare qualcosa di reale: un’emozione, una silenziosa riflessione prima di andare a dormire, una crescita che ci fa definire ciò che noi siamo, che vogliamo essere oppure no.
Il presente articolo contiene degli SPOILER! Lettore avvisato!
Sul finale di The Last of Us, Joel ed Ellie terminano il loro viaggio davanti a Jackson nel Wyoming. Sono di ritorno dalla vicina Salt Lake City, la tappa finale del loro viaggio: nella città dello Utah, c’è l’ospedale delle Luci, una delle più grandi milizie private americane nata post-pandemia, un centro nevralgico importante proprio perché lì è di stanza il medico chirurgo Jerry Anderson: l’equipe medica delle Luci ha portato avanti estenuanti ricerche per la produzione di un vaccino contro il Cordyceps e il risultato di questi studi sembra essere vicino: Ellie è immune all’agente fungino. Il morso sul suo braccio non ha provocato alcuna alterazione: è il primo caso in vent’anni.
Lo sviluppo di un vaccino, come sappiamo, comporta proprio uccidere Ellie. Joel si trova di fronte ad un difficile dilemma morale: salvare l’umanità, che gli ha tolto via tutto, oppure salvare una figlia ritrovata?
E’ giusto salvarne uno e farne morire cento, ogni giorno?
Questo è ciò che in filosofia etica si chiama il “Dilemma del Carrello Ferroviario”: siamo un capotreno e i freni della nostra locomotiva non rispondono più ai nostri comandi, l’unica cosa che possiamo fare è dirottare il treno su un altro binario. Se continuassimo dritto sul binario di partenza, troveremmo cinque operai sulle rotaie, mettiamo il caso che nessuno di loro si salverà all’impatto. Invece, se scegliessimo di cambiare binario, ne troveremmo solo uno. La maggior parte di noi decide di sacrificarne uno al posto di cinque, ma il dilemma è più difficile di così e non è solo una questione numerica (salvare più vite a discapito di una).
Il nostro giudizio morale cambia in base a chi ci troviamo di fronte e quanto siamo direttamente, o indirettamente coinvolti. Mettiamo il caso che per fermare il treno dobbiamo spingere una persona “corpulenta” sotto le rotaie così da salvare i cinque operai: in quel caso ucciderne uno sarebbe difficile, perché dovremmo spingerlo direttamente sotto il treno, ed un’azione del genere equivale ad un omicidio. Tuttavia, si è notato che la situazione cambia quando questa persona da spingere sotto il treno è un criminale che si è macchiato di terribili omicidi. Dov’è ciò che è giusto e cosa è sbagliato?
Quando Joel muore per mano di Abby, la figlia del chirurgo, paga le conseguenze del suo egoismo. Ma quando Abby si accanisce sul corpo già martoriato di Joel noi videogiocatori non conosciamo le sue motivazioni: siamo inermi spettatori della morte atroce di un personaggio con il quale abbiamo provato empatia, siamo “scesi a compromessi” chiedendoci: “ma io cosa avrei fatto al suo posto?”, addentrandoci in quell’area neutra in cui giusto e sbagliato non esistono e la moralità è nell’egoismo di chi è consumato dalle ingiustizie della vita. Questo egoismo lo andiamo poi a ritrovare anche nelle azioni di Ellie che si recherà a Seattle alla ricerca di Abby.
In questa rapida strada verso l’inferno, Ellie soffoca il suo buonumore, la sua spiazzante ironia, con i crimini di cui si macchia: le tremano le mani, rimane spesso in silenzio, aggrappandosi all’unica cosa che la mantiene viva e che ci ricorda ciò che era: il suo amore per Dina.
Soffriamo con Ellie, siamo la silenziosa mano che la guida nell’oscurità. Noi videogiocatori siamo come lei, spaventati ma combattivi, cadiamo nella trappola che Naughty Dog ci ha confezionato con cura: la vendetta è la nostra salvezza, ne siamo certi.
E’ proprio nel momento in cui prendiamo consapevolezza di questo, la regia ci sposta forzatamente dall’altro lato. Da essere i macchinisti del treno senza freni, ci ritroviamo dall’altra parte delle rotaie, dal punto più alto del cavalcavia. Dall’altra parte c’è Abby. Ciò che ha diviso la community dei videogiocatori è stata quella di vivere la seconda parte del gioco nei panni di un personaggio sgradevole: ha commesso un brutale omicidio ed è tornata alla sua vita di sempre, a differenza di Ellie non ha perso la sua ironia ed è piena di amici. Per lei non esiste perdono, la sua vendetta è stata compiuta: è manipolatrice ed egoista allo stesso tempo. Non riesce a toccare le giuste corde, così come hanno fatto Ellie e Joel prima di lei. Abby non pare pentirsi delle azioni che fa, prosegue per la sua strada seguendo la persona che ama, intrappolata in una faida che non sente propriamente sua: la sua guerra l’ha già vinta.
Ad Abby nulla davvero appartiene. Che senso ha allora mettersi nei suoi panni? Nei tre giorni vissuti con lei, in un viaggio simile a quello di Ellie, come se si trovassero in una realtà uguale ma allo stesso tempo alternativa, come l’Underworld di Stranger Things, Abby riesce a sopravvivere a suo modo, contando sulle sue esperienze ed abilità da vera professionista. Per noi videogiocatori la dissonanza cognitiva si crea quando Abby è un personaggio davvero difficile con cui empatizzare, ma allo stesso tempo troviamo davvero divertenti le fasi di combattimento. Sono attive, concitate, ansiogene, da cardiopalma. Sono un trionfo dell’intrattenimento videoludico, una gioia per gli occhi e per i sensi coinvolti nell’esperienza di gioco. Allo stesso tempo, nasce in noi quell’obiettivo di “sopravvivenza”, perché questo personaggio è tutto ciò che abbiamo e per questo dobbiamo riuscire nella sua impresa. La sua avventura diventa anche la nostra, e la consapevolezza che Ellie è sulle sue tracce diventa un mix di angoscia difficile da digerire ed accettare. Abby continua ad essere un personaggio enigmatico e non propriamente limpido, è pur sempre un personaggio che ha scelto la vendetta al perdono. Nel suo viaggio, ha trovato due ragazze della fazione opposta e le ha tratte in salvo: se è vero che i numeri sono importanti, allora forse questa è la giusta redenzione? E’ Abby tanto diversa da Joel ed Ellie?
Con Abby ci addentriamo nella sua vita, nei suoi desideri e nei fallimenti. Per l’ossessiva ricerca di vendetta è rimasta sola. Ed è proprio in questa sorda solitudine, mascherata dal suo allenamento e dalla sicurezza di sé, trova Lev e Yara e – di conseguenza – la sua voglia di imparare dagli errori, come qualsiasi essere umano.
Quando, verso la fine dell’avventura a Seattle, entriamo nel vecchio teatro per dare la caccia ad Ellie nei panni di Abby non è difficile provare sentimenti contrastanti. Personalmente, non avrei mai creduto che Naughty Dog ci spingesse a tanto, per tutta la durata del “faccia a faccia” ho avuto lo stomaco chiuso, mi sono sentita smarrita, presa in ballo in un forte conflitto di interessi e continuavo a chiedermi: è giusto o sbagliato quello che sto facendo?
E’ presto dire “è solo un gioco”. Grazie alla dinamicità del medium videoludico e la sua forma interattiva, possiamo con certezza dire che noi videogiocatori siamo stati messi, con forza, al centro della bilancia. Non pendiamo verso destra o sinistra, siamo noi a creare equilibro tra i due poli opposti.
Ed è proprio quando, all’inizio dell’avventura, pensavamo di essere dalla parte della ragione, del giusto, quando entriamo nel vecchio teatro nei panni di Abby pensiamo che “è davvero giusta la vendetta?”. No, non lo è, cercare la vendetta fa schifo così come è orribile questa assurda caccia all’uomo.
Mi sono mossa nel vecchio teatro conoscendo l’ambientazione già esplorata con calma, in precedenza, con lo stomaco stravolto, quasi impotente davanti al passare delle fasi di gameplay. Ancora una volta, mi sono stupita dell’incredibile lavoro fatto dal team di Naughty Dog (vi consiglio di giocare tutta l’avventura in cuffia) perché avendo giocato con Ellie per quasi quindici ore, vestendo i panni di Abby sapevo benissimo quali armi e approcci aveva Ellie a disposizione: e non solo. L’apice del gameplay tocca vette altissime sfruttando l’AI sopraffina di Ellie, che riesce a nascondersi bene e a tornare indietro sui suoi passi se sente anche un rumore impercettibile. Non possiamo, quindi, sperare di metterci dietro di lei ed inseguirla, aspettando un passo falso. Quello che saggiamente dobbiamo sfruttare nello scontro è l’audio del gioco. Ellie per creare molotov o medikit si accovaccerà al suolo e aprirà il suo zaino, il rumore della zip è talmente riconoscibile grazie alle ore passate in game con lei, che sappiamo per certo che si troverà off-guard. Di conseguenza, sarà il momento propizio per attaccare. Ed il conflitto di interessi ritorna proprio in queste fasi proprio perché sfruttiamo i momenti off-guard di Ellie, Abby non lo sa, ma noi siamo Abby, dobbiamo salvarla dal nostro personaggio preferito.
Quando Ellie decide di lasciare la sua quotidianità per zittire i suoi demoni interiori e cedere alla vendetta, noi dall’altro lato dello schermo non ci sentiamo totalmente a nostro agio. Abbiamo maturato già l’odio delle fasi iniziali, adesso il nostro approccio alla storia è totalmente differente: siamo alla fine di un viaggio che ci ha lasciato qualcosa, Abby ha scelto (o ha lasciato scegliere) di andare via e non macchiarsi le mani, ancora una volta, di sangue. Perché non l’avrebbe arricchita o rassicurata.
Quando ho preso di nuovo il controllo di Ellie in California, mi sono sentita vagamente a disagio. Non avevo bene a mente dove il finale del gioco voleva arrivare, sono stata spinta dalla curiosità perché volevo sapere dove si cercava di andare a parare. Quando, dopo varie fasi concitate, son riuscita a trovare una Abby irriconoscibile, legata ad un palo, con un corpo scheletrito e i capelli corti, il conflitto interiore fa nuovamente capolino dentro di me. Quasi scioccamente, mi sono rivolta ad Ellie come se fosse una persona reale, e ho detto “non vorresti mica infierire ancora?”. Abby ha subito mesi di violenze, di pura e semplice alienazione, avrà ripensato a tutto quello che ha fatto e alle conseguenze delle sue azioni e quelle di Ellie, combinate. Ellie la libera, e per fortuna è lì a farlo. Infierisce sul suo corpo malconcio, Abby le chiede di risparmiarla e lo fa in una posa davvero eloquente per il videogiocatore: Abby ha in braccio Lev, così come Joel portava via Ellie dall’ospedale delle Luci. Il dualismo si ripete, Abby è un triste doppelgänger, un monito: cosa succede scegliendo la violenza? Una spirale infinita di morte e dolore che sembra non avere fine. Nasce così uno scontro in cui Ellie pare avere la meglio, perché vuole vincere il suo PTSD, vuole dire addio a Joel una volta per tutte. Lo fa cercando di annegare tutta la sua rabbia, ma è nuovamente Joel a salvarla. Il dolce ricordo degli ultimi attimi di vita di Joel le fa capire che non è la vendetta quello che cerca, ma il perdono. Quando muore una persona a noi cara, lo smarrimento e la rabbia iniziale esistono, ma hanno breve durata. Si impara a convivere con l’assenza, ma la parte più difficile nell’elaborazione del lutto è proprio il lasciar andare. Impieghiamo davvero tanto per lasciare andare qualcuno che non c’è più e avere un bel ricordo di ciò che è stato. Ed è allora che Ellie vince su Abby e la sua arma vincente è proprio il perdono: Ellie è riuscita a lasciar andare Joel, Abby invece no, non è riuscita a dire addio a suo padre, non senza ricorrere alla violenza.
Ciò che ha ottenuto è stato un ritorno del dolore che ha provocato. Ho provato per Abby una pena infinita, sono stata triste per lei e ho sentito un senso di sollievo quando l’ho lasciata andare; certo, non è ancora il mio personaggio preferito, ma non per forza deve esserlo. E’ un personaggio che funziona e che mi ha regalato tanto, mi ha “smosso” da quella rigidità iniziale in cui vedevo tutto come buono e cattivo. Ho provato tristezza per un personaggio così sgradevole, ho apprezzato la sua redenzione e mi sono commossa quando le due ragazze hanno semplicemente detto basta.
Ellie ha pagato le conseguenze delle sue azioni perdendo due dita della mano sinistra nella colluttazione, ha perso una vera e propria parte di sé, rinunciando definitivamente a suonare la chitarra, l’ultimo regalo che le aveva fatto Joel. Inizialmente, il videogiocatore penserà che Ellie ha effettivamente perso tutto, anche Dina, il loro bambino JJ, tutta la comunità di Jackson, ma se prestate attenzione non è così: Ellie tornerà alla fattoria per l’ultimo atto d’amore per Joel, avrà pieni gli occhi del suo ricordo e gli dirà addio, lasciando per sempre, nella casa abbandonata, la chitarra che lui le aveva regalato, impreziosita dalla celebre falena sul manico. Ellie tornerà a casa da Dina e JJ, lo si può notare dal braccialetto hamsa che tiene al polso e che durante il viaggio a Santa Barbara non aveva. Non ha armi con sé, non possiede nulla, solo il suo diario e la sua matita.
The Last of Us Part II è il trionfo del perdono, della rinascita, del coraggio di saper lasciar andare. Perché è solo lasciando andare una persona che abbiamo amato, riusciamo a farla vivere dentro di noi, per l’eternità. Come se fosse saudade o un odore improvviso che ci ricorda qualcosa del nostro passato e che avevamo dimenticato. Qualcosa che esiste ma che non sempre è presente. Un ricordo che ci fa sentire meno soli, avere la certezza di non essere gli ultimi.
Gli ultimi di noi.