Essendo ancora uno studente universitario sono in contatto col mondo accademico ed i suoi diversi indirizzi. Ogni giorno vedo nascere ipotesi, idee, ricerche, progetti, attività di ogni tipo e, naturalmente, la mia attenzione esamina questo flusso costante per soffermarsi sulla parola chiave inserita nel mio personalissimo motore di ricerca: “Videogiochi”. Mi fa sempre piacere trovare studenti che si interessano alle mie stesse passioni poichè, la condivisione di queste, serve a dargli un senso, una continuità, che diventa necessaria per farmi capire che il lavoro che svolgo non è fine a se stesso. Quello che faccio potrebbe interessare a qualcuno.
Su questo sito discutiamo di videogames e della psicologia di cui sono permeati dalla “nascita”: vi è psicologia nella creazione, nella distribuzione e nell’utilizzo di un gioco. Noi cerchiamo di capire ogni prodotto videoludico individuando quelle dinamiche che lo contraddistinguono e le rapportiamo al nostro sistema di conoscenze, ai nostri testi universitari e alle riviste scientifiche sugli argomenti di nostro interesse. Il sapere è in continuo aggiornamento, è mutevole e si evolve con ritmi serrati.
Qualche giorno fa, durante una sorta di “esplorazione accademica” circa le novità nel mondo dei videogiochi, ricevo una “soffiata” da una professoressa del mio indirizzo: “C’è una ragazza che vuole attuare un progetto di tesi che potrebbe interessarvi, un confronto tra console e mobile gaming, torno a casa e ti scrivo due righe”. Oltre all’estrema gratitudine per avermi salvato da un pomeriggio di ricerca in rete, la professoressa mi lascia anche una certa dose di curiosità: innanzitutto una ragazza che fa una tesi sui videogiochi sarebbe degna di almeno due o tre inviti a cena, in secondo luogo il mobile gaming è la forma di videogioco che meno utilizzo quindi non farebbe male qualche approfondimento.
Aspetto un paio d’ore ed ecco arrivare la mail: “…l’ipotesi principale di tutto il progetto di ricerca è dimostrare che chi gioca ai videogiochi sul telefono…non si vede come un videogiocatore, non gli sembra di giocare ai videogames”.
Cerchiamo di capire: chi gioca a videogiochi sul telefono non percepisce la sua attività come un giocare ai videogiochi.
Questa rappresentazione può sembrare innocua ma ha una portata molto seria.
Noi di “Psicologia dei Videogiochi” sosteniamo gli effetti positivi dei Videogames ma non ne ignoriamo gli aspetti negativi, anzi spesso li approfondiamo con più cura rispetto ai benefici poichè, per difendere la nostra passione dalle critiche, dobbiamo conoscerne gli aspetti che ne sono criticati. Facciamo un rapido ragionamento basandosi sull’ipotesi della tesi mandatami dalla mia docente: il Mobile Gaming è la forma di videogioco più diffusa (il suo ingresso nel mercato ha distrutto la concorrenza delle Console) ed il tempo passato giocando al telefono spesso supera di gran lunga quello passato davanti ad una console. Ora: per parlare di dipendenza da Videogiochi ci si riferisce in particolare ad un tempo, superiore alle 4 ore giornaliere, passate davanti a giochi su console e pc ma il device mobile viene completamente ignorato. La comunità scientifica sembra in ritardo rispetto all’aggiornamento del mondo dei videogiochi ma a lasciare ancora più stupiti sembrerebbe l’incapacità delle persone di rappresentarsi un’attività videoludica come tale e quindi, non categorizzandola secondo certi parametri, saltano anche i parametri che dovrebbero controllare questa attività.
Queste affermazioni rimangono ipotesi ma rappresentano un orizzonte di ricerca molto interessante. Il progetto di tesi è in cantiere e stiamo cercando di entrare in contatto con questa studentessa per maggiori informazioni sugli obbiettivi e le metodologie che caratterizzeranno il suo operato. Aspettiamo ansiosi e, appena possibile, vi aggiorneremo sugli sviluppi della vicenda…Stay tuned!