Nel corso di questo anno abbiamo assistito alla distribuzione di molti dispositivi di realtà virtuale ma tra i più conosciuti possiamo ricordare il Gear VR, per smartphone, della Samsung. Tuttavia a breve saremo testimoni del lancio della Playstation VR, a mio modesto parere primo e vero esempio di distribuzione di massa di un dispositivo per la realtà virtuale.
L’entusiasmo è tanto. La conoscenza su quello che potrebbe accadere, poca.
Al momento gli headset in circolazione sono pochi e risulta difficile fare una stima delle modalità di fruizione della realtà virtuale, in termini di tempo e di contesto di utilizzo, e delle conseguenze che l’uso di questa possa avere sul cervello. Le ricerche scientifiche possono permettersi di osservare solo gli effetti a breve termine di un utilizzo moderato ma non possono predire quello che un uso eccessivo o smodato (eventualità plausibile se si considera l’alto coinvolgimento caratteristico della VR) possa avere, a breve e a lungo termine.
Molti effetti collaterali sono da ritenersi momentanei e non lasciano danni permanenti, ma ci sono stati pochi studi sull’uso a lungo termine della tecnologia.
Nel manuale di utilizzo dell’Oculus Rift (uno dei tanti dispositivi di realtà virtuale) vengono elencati una serie di possibili effetti collaterali come convulsioni, nausea, affaticamento della vista e vertigini (riscontrate in bambini che hanno superato la mezz’ora di utilizzo consigliata) e problemi con la coordinazione oculo-motoria. Questi effetti sono momentanei e non lasciano danni permanenti ma le perplessità su quanto possa derivare da un utilizzo eccessivo e continuativo restano.
Dopo aver eseguito una piccola ricerca ho trovato alcune informazioni utili ad approfondire la questione. In un articolo di Marzo il “The Guardian” cita Marty Banks, professore di Optometria presso l’Università Berkeley della California, che ha potuto osservare alcuni aspetti neurofisiologici correlati all’utilizzo della VR. Uno degli aspetti più problematici e intrinseci nell’utilizzo della realtà virtuale è la presenza del conflitto tra accomodazione e convergenza (due processi che coinvolgono la nostra percezione ed elaborazione visiva) che può provocare affaticamento della vista. L’esito di questo studio sembra dunque giungere ad uno degli stessi risultati ottenuti dai test effettuati dalla Samsung prima del lancio di Oculus. Il professore però, afferma “Tutto ciò che ho visto suggerirebbe che ogni conseguenza dell’utilizzo del dispositivo si esaurirebbe a breve termine…Ma penso che non sarebbe saggio dire: <<non c’è nessun problema>>”.
Sarah Sharples, professore di “Human Factor” all’Università di Nottingham e presidente della Chartered Institute of Ergonomy and Human Factor, ha sottolineato la necessità di approfondire oltre il fenomeno. Il fatto che non ci siano casi di utilizzo quotidiano e continuativo che permettano di identificare chiaramente le conseguenze a lungo termine dell’uso della VR. Sharples è cauta sul collegamento tra effetti noti e fattori scatenanti: “al momento non ci sono le prove… abbiamo riscontrato degli effetti derivanti dall’uso della tecnologia, ma il punto è: sono dannosi?”
Un’altra preoccupazione è rappresentata dai possibili effetti della realtà virtuale sul comportamento. Albert Rizzo, direttore per lo studio della realtà virtuale presso la University of Southern California ritiene che ci vorranno molti anni per studiare come gli esseri umani si comportino e interagiscano nel mondo virtuale e le ripercussioni che il “vivere” in quel mondo possa avere su di loro. Rizzo tuttavia preme nell’evidenziare la moltitudine di vantaggi ottenibili attraverso l’uso dei sistemi di realtà virtuale. Situazioni terapeutiche, trattamenti contro il disturbo post-traumatico da stress, la depressione, sono solo alcuni degli esempi di utilizzo clinico della virtual reality. “Le cose che siamo in grado di fare nella, e con, la realtà virtuale, fanno una differenza positiva per le persone e la loro vita nel mondo reale” ha affermato il professore, aggiungendo che, nel caso si decida di utilizzare la realtà virtuale, non si debba essere ingenui nel sottovalutarne i possibili effetti negativi (soprattutto in caso di “abuso” della tecnologia) “…dovremmo avere cautela vigile”.
Sharples sottolinea come le aziende VR siano profondamente impegnate nel monitorare e sondare i possibili problemi e sembrerebbe prevalere la logica del “buon senso” su quella del “mercato”. I suoi consigli seguono quelli di comunicati per l’Oculus: smettere di utilizzare il dispositivo in caso di malessere, non utilizzare per più di 30 minuti e assicurarsi di supervisionare chi ne fa uso e in che modalità.
Non bisogna quindi negare le potenzialità in negativo di questa tecnologia, ma rinunciare del tutto ad uno strumento così prezioso sarebbe poco saggio. Alla fine, come in ogni cosa, il monito è uno e unico: moderazione!