La parola videogame è giustamente associata a momenti di divertimento e scappatoie dalla vita reale. Fin dalla loro creazione hanno contribuito ad allietare le giornate di miliardi di persone che ogni giorno per un paio di orette riescono a lasciarsi alle spalle il duro lavoro per rilassarsi davanti ad uno schermo con il loro gioco preferito. La comparativa online dei videogiochi sta prendendo sempre più piede. Questo da una parte ha portato grandi vantaggi al mondo videoludico, dall’altra lo ha reso un mondo in cui occorre stare sempre più attenti a come ci si comporta in rete, in quanto non sappiamo mai chi si trova dall’altra parte dello schermo.
In questo articolo andrò a raccontarvi di alcuni omicidi che sono stati causati dai videogames online.
Caso 1: La sciabola del drago
Nel 2005 Qiu Chengwei un videogiocatore di Shanhgai è stato condannato alla pena capitale per aver accoltellato ed ucciso Zhu Caoyuan. I due ragazzi erano entrambi appassionati di MMORPG. Avevano trascorso molto tempo assieme in un gioco molto popolare all’epoca: Legend of mir 3. Qiu, molto più esperto e di livello superiore del suo amico, era entrato in possesso di un oggetto di gioco molto raro: La sciabola del drago. Dopo un accordo tra i due, Zhu aveva ricevuto in prestito l’arma che gli sarebbe servita per avanzare più velocemente nel gioco e accorciare le distanze tra i due giocatori. Ma invece di utilizzare l’oggetto, Zhu lo vendette immediatamente online guadagnando 7200 yuan, che si traducono in circa 920 euro. Qiu Chengwei, una volta scoperta l’amara verità si rivolse subito alla polizia locale, ma quest’ultima non aveva nessuna giurisdizione sulle proprietà virtuali. Nonostante l’amico fosse disponibile a ripagarlo per intero, Qiu decise di ottenere giustizia in altro modo. Dopo essersi recato di notte nella sua abitazione,accoltellò Zhu al cuore: uccidendolo per poi consegnarsi alla giustizia due ore dopo. Nonostante la condanna originale fosse la pena di morte, il killer ha visto ridursi la pena per buona condotta e dovrà scontare l’ergastolo.
Caso 2: Platinum vs The Coo Clocks
La vicenda è avvenuta a cavallo tra il 2007 ed il 2008 in Russia ed ha coinvolto due clan di un famoso MMO, chiamato Lineage 2. La diatriba è nata all’interno del gioco quando i due clan, Platinum da una parte e The Coo Clocks dall’altra, si sono scontrati in un duello PVP. Il primo, composto da giocatori adulti, era da tempo in battaglia con l’altro gruppo, il quale era composto invece da studenti universitari. Durante la battaglia, il personaggio di Albert appartenente a Platinum rimase ucciso, dando di conseguenza la vittoria ai Coo Clocks. Dopo un’accesa discussione online in seguito all’esito della battaglia, Albert ed un rappresentante dei Coo Cloks Clan si accordarono per risolvere la faccenda faccia a faccia ad Ufa, capoluogo della Baschiria. Il duello prese una tragica piega: Albert venne picchiato in maniera così pesante da soccombere durante il tragitto in ambulanza verso l’ospedale. Nonostante questo grave fatto, il Coo Clocks Clan proseguì nel corso dei mesi a molestare la famiglia del russo, minacciando di uccidere anche la sorella di Albert.
Caso 3: Dipendenza da Halo
Nel 2007 a Wellington negli Stati Uniti una famiglia è stata scossa da una tragica vicenda. Tutto è cominciato quando i genitori di Daniel Petric proibirono al ragazzo di acquistare una copia di Halo 3. Il gioco: infatti, secondo il padre, un ministro, sarebbe stato troppo violento per un ragazzo della sua età. Daniel aveva scoperto il videogioco provandolo a casa di un amico e se ne era innamorato fin da subito. Aveva deciso quindi di disobbedire agli ordini dei genitori e di comprarlo di nascosto, sviluppando una forte dipendenza nei confronti di esso. Tuttavia un giorno la madre sorprese il figlio alle prese con il videogioco e il padre glielo confiscò immediatamente. Nei giorni successivi Daniel, che sapeva bene dove il suo prezioso Halo era nascosto, non esitò due volte prima di recuperarlo. Assieme al gioco però, si impossessò anche della pistola che il padre teneva nascosta nello stesso armadietto. Daniel aspettò che i genitori la sera fossero raccolti in soggiorno per attuare il suo piano di vendetta. Con la pistola in mano sparò prima al padre, ferendolo in maniera grave, e successivamente alla madre, uccidendola. Subito dopo Daniel avrebbe messo la pistola in mano al padre, cercando di inscenare un omicidio/ suicidio, ignorando il fatto che il padre in realtà fosse ancora vivo. La polizia, allarmata pochi minuti dopo dalla sorella di Daniel ritornata a casa assieme al marito, riuscì a fermare il ragazzo, il quale nel frattempo era scappato a bordo dell’auto del padre. Fermato ad un posto di blocco venne trovato con la copia del videogioco appoggiata sul sedile di fianco al suo. Daniel Petric è stato condannato a scontare 23 anni in prigione, contro la volontà del padre di dare una seconda possibilità al figlio.
Caso 4: Un invito pericoloso

Breck Bednar, e a destra il suo killer Lewis Daynes
Questo caso molto più recente risale solamente al 2014. Breck Bednar era un ragazzo di 14 anni, come tanti altri, appassionato di computer e videogames. Negli ultimi periodi aveva conosciuto in rete un altro videogiocatore con cui aveva stretto una forte amicizia a distanza; un ragazzo di nome Lewis Daynes, 19enne di Essex. I due avevano passato diverse ore chattando su Teamspeak e giocando a Cod e Battlefield. Proprio durante queste sessioni Lewis avrebbe confidato di essere un programmatore e di lavorare per il governo. Avrebbe poi proposto al giovane Breck di lavorare per lui, in quanto lo avrebbe aiutato economicamente con ingenti somme di denaro. I genitori del quattordicenne, nel frattempo, si stavano lentamente accorgendo che l’influenza di questo amico a distanza stava andando a nuocere al comportamento del figlio. Nonostante ciò, durante la giornata del 17 febbraio 2014 Breck ottenne il permesso di passare la notte a casa di Lewis. Il ragazzo però non poteva immaginare che l’invito si sarebbe trasformato in tragedia. Il dicianovenne di Essex infatti aveva programmato attentamente una serata ben diversa. Secondo le ricostruzioni e testimonianze del killer, Lewis avrebbe usato del nastro per legare gli arti di Breck per poi procedere ad abusare sessualmente di lui e infine ucciderlo con delle pugnalate al collo. Avrebbe inoltre scattato delle foto subito dopo aver compiuto l’omicidio, condividendole in rete e in seguito chiamando la famiglia Bednar, asserendo che il loro figlio si era suicidato. Consegnatosi alla giustizia non ha subito confessato l’omicidio,portando avanti la sua versione in cui Breck era deceduto durante un litigio rimarcando che il giovane aveva tentato più volte di suicidarsi. Di particolare importanza la chiamata effettuata da Lewis al 999, in cui con una calma quasi surreale racconta una versione fittizia dei fatti all’operatore. Daynes è stato condannato nel gennaio 2015 a scontare 25 anni di carcere.
Questi sono solamente alcuni dei casi più eclatanti e violenti che in qualche modo hanno avuto origine da battibecchi, vere o finte amicizie online. Non è mia assoluta intenzione incolpare e puntare il dito nè ai videogames nè alla rete per aver causato determinate tragedie. Piuttosto vorrei far riflettere il pubblico e soprattutto far porre l’attenzione sulla divisione tra realtà e mondo fittizio. E’ bene che questi due mondi rimangano ben separati nelle menti dei videogiocatori per evitare che tragedie simili si ripetano nuovamente.