Non manca ormai molto all’uscita di Life is Strange 2, avventura grafica a scelte multiple, le quali portano a diversi finali.
Diversi titoli del momento, come Heavy Rain e Detroit Become Human, di cui abbiamo parlato questo mese, hanno optato per questa tipologia di storytelling: ogni scelta del giocatore diventa determinante ed ha una serie di precise conseguenze.
È questa la parola chiave di questo nuovo tipo di giochi, conseguenze, novità nel mondo videoludico che si è sempre differenziato per la possibilità di commettere qualsiasi tipo di azione senza subirne conseguenze se non a breve termine (gli inseguimenti di polizia in GTA per esempio). Per la prima volta il giocatore si trova a confrontarsi con il peso di dover fare una scelta che determinerà tutto il percorso della partita.
Ciò stravolge completamente non solo il modo di giocare, ma anche lo stesso rapporto con il gioco. L’immedesimazione diventa più profonda e intensa e per la prima volta esiste anche un certo senso di responsabilità.
Siamo abituati a vivere i giochi solo come mezzi di intrattenimento, é raro trovarsi di fronte a giochi che ti portano a crescere come persona, che ti insegnano come ponderare davvero una decisione.
L’anno scorso uno studio dell’Università della California aveva evidenziato come alcuni videogiochi potevano essere utilizzati come trattamenti terapeutici per alcune patologie psicologiche. Da questi studi risulta evidente che videogiochi che lavorano sul prendere decisioni allenino il cervello. Un esempio è la depressione, la quale è causa di apatia, mancanza di concentrazione, perdita di interesse e diversi altri sintomi. Videogiochi come Life is strange, Until Dawn e altri, permettono al giocatore che soffre di questa patologia (nella sua versione lieve) di “allenarsi” e finiscono quindi per trattare i sintomi depressivi.
Uno dei problemi che insorgono nell’utilizzo di videogiochi come terapia, secondo i primi studiosi che li hanno testati, Khan & Peña, è il drop-out, che si solito è una diretta conseguenza della mancanza di motivazione e di energie. Ma di fronte ad un videogioco le cui richieste di abilità sono in realtà basse, poiché lo sforzo necessario è principalmente mentale, questo problema diminuisce sensibilmente.
La sperimentazione ha portato i partecipanti, tutti diagnosticati con forme di depressione minima, a sentirsi in grado di poter fare qualcosa e non essere più schiacciati completamente dal senso di apatia, anche se ovviamente i benefici inizialmente non si sono registrati al di fuori del gioco, sul lungo termine si sono evidenziati cambiamenti significativi e stabili.
La sperimentazione è ancora in corso, anche se effettuata con videogiochi appositamente adattati e anche alcuni appositamente creati allo scopo.
Tutto ciò ovviamente non implica che il target di questi giochi sia un pubblico obbligatoriamente problematico: il “brain training” offerto é una risorsa preziosa per qualunque giocatore. Un elemento da non trascurare nei vostri prossimi acquisti.
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Bibliografia:
Khan, S., & Peña, J. (2017). Playing to beat the blues: Linguistic agency and message causality effects on use of mental health games application. Computers in Human Behavior, 71, 436-443.