Parlando con genitori “immigrati digitali” più o meno preoccupati per quello che i loro figli fanno in rete, emerge spesso il tema delle relazioni. Si chiedono come possano i loro figli investire tanto tempo ed essere così coinvolti in comunicazioni dove l’altro non c’è, e magari non si è nemmeno mai incontrato dal vivo. Senza la corporeità, si dice, il contatto è “freddo”, impersonale, non autentico.
In effetti è esattamente quanto emergeva dalla letteratura sul tema agli albori della comunicazione mediata da computer. Si supponeva che la mancanza di indizi non verbali rispetto alla comunicazione faccia a faccia riducesse la qualità socio-emozionale della relazione online.
Ma quindi come spiegare la nascita di amicizie e anche amori online, o il riuscire più facilmente a parlare di tematiche emotivamente “calde” dietro a uno schermo?
Il modello “iperpersonale” della comunicazione mediata (Walther, 1996) ipotizza processi per cui le impressioni e gli stati relazionali possono essere ancora più vividi di quanto avviene nei contesti faccia a faccia. Questi possono essere identificati in 4 gruppi di processi tipici che assieme cercano di spiegare il relativo aumento di desiderabilità ed intimità nelle relazioni online rispetto alle loro equivalenti offline.
I riceventi
Si può tendere ad esagerare la percezione di chi ha spedito il messaggio, dato che in assenza di elementi concreti tendiamo comunque a sviluppare una impressione riempiendo i vuoti delle informazioni mancanti. Questo può assumere forme di idealizzazione se le poche informazioni iniziali sono favorevoli, come quando qualche elemento contestuale suggerisce che l’altro condivide parte della nostra identità sociale, ma anche attraverso il ricorso agli stereotipi.
Queste sovrattribuzioni possono essere legate anche al solo linguaggio, come evidenziato da uno studio (Spottswood, Walther, Holmstrom, & Ellison, 2013) in cui venivano presentati esempi di post su una piattaforma di supporto online: un utente si lamentava del “pacco” ricevuto ad un appuntamento ottenendo messaggi in risposta più centrati sui suoi sentimenti (tipicamente associati al sesso femminile) o su consigli (più spesso collegati ai maschi). Malgrado i nickname dei commentatori fossero neutri rispetto al genere venivano considerati provenienti da maschi o femmine in base al loro contenuto.
Gli invianti
Il “canale ristretto” della comunicazione mediata, dove parte delle informazioni date dal faccia a faccia vengono filtrate, facilità una autopresentazione selettiva. Si possono spedire solo gli elementi che si desiderano e non rivelare ad esempio l’aspetto fisico, l’ambiente in cui si vive o altre informazioni indesiderabili. Questo è (o era) particolarmente evidente nelle app di appuntamenti, che consentono di ottimizzare il proprio profilo.
La minor quantità di informazioni trasmesse permette forme di contatto “leggere”, con interazioni superficiali non particolarmente impegnative, come l’aggiungere una persona alla nostra rete social. Questo permette però approcci successivi graduali senza il rischio di apparire invadenti e coprendo segnali emotivi che potrebbero metterci in difficoltà come l’imbarazzo. Il filtro della non presenza aiuta però anche ad esprimere emozioni molto intense che non sempre si riescono a reggere nel faccia a faccia, lasciando al destinatario maggior libertà sul come rispondere.
Il canale
Molti sistemi mediali consentono una comunicazione asincrona, dove abbiamo il tempo e le risorse da per creare messaggi ottimali senza essere immersi in un flusso di conversazione o dover monitorare la comunicazione non verbale nostra o dell’interlocutore.
In una ricerca che ha confermato quanto gli amori adolescenziali (ma non solo) mostrano fin troppo bene (Walther, 2007) gli utenti convinti di star scrivendo ad un potenziale partner attraente modificavano più spesso il loro messaggio durante la composizione rispetto a coloro che con quelli meno desiderabili. Non è però solo questione di solo aspetto: il livello di modifica corrispondeva anche al grado di affetto relazionale mostrato nei messaggi poi inviati.
In spazi come le chat quando le persone vogliono accattivarsi l’interlocutore sembrano puntare a presentarsi come simili negli atteggiamenti rispetto ai temi di discussione. Nella comunicazione faccia a faccia i segnali di gradimento o meno sono espressi con segnali vocali e cinestesici molto diretti, ma in quella mediata questo non è possibile, e ci si focalizza dunque sulle opinioni espresse. A questo si può anche ricondurre la popolarità ed efficacia varie emoji e gif spesso usate nella messaggistica, che permettono di reintrodurre il non verbale.
Le interazioni
Nella comunicazione mediata viene spesso considerato difficile influenzare davvero lo stato emotivo di chi sta dall’altra parte dello schermo. Eppure la ricerca mostra come siamo effettivamente in grado di migliorare il cattivo umore del nostro partner di conversazione, ma spesso non riconosciamo il nostro contributo a questo cambiamento e lo attribuiamo al fatto di stare simpatici all’altra persona. E questo ci motiverà a continuare amichevolmente i rapporti, mentre dall’altra parte si creano le basi per un effettivo gradimento.
Bibliografia
Walther, J. B., Van Der Heide, B., Ramirez Jr, A., Burgoon, J. K., & Peña, J. (2015). Interpersonal and hyperpersonal dimensions of computer-mediated communication. The handbook of the psychology of communication technology, 1, 22.
Davis, Katie. (2012). Friendship 2.0: Adolescents’ experiences of belonging and self-disclosure online. Journal of adolescence. 35. 1527-1536. 10.1016/j.adolescence.2012.02.013.