Ghost in the Shell: quando la coscienza non è più il confine tra umani e cyborg

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Quando le macchine diventano autocoscienti e capaci di provare sentimenti ed emozioni, qual è il confine che le separa dagli esseri umani?

È intorno a questa riflessione che si sviluppa uno dei più famosi prodotti culturali giapponesi nato del genio di Masamune Shirow, ovvero Ghost in the Shell.

Sviluppatosi inizialmente come manga, pubblicato per la prima volta in Giappone nel 1989, da cui sono stati successivamente realizzati 2 film d’animazione (Ghost in the Shell del 1995, GITS- L’attacco dei cyborg del 2004), un film live action (Ghost in the Shell del 2017) 3 serie televisive (GITS: Stand Alone Complex, GITS Stand Alone Complex 2nd GIG e GITS: Arise),2 special conclusivi delle precedenti serie tv (GITS Stand Alone Complex: Solid State Society e GITS: The Rising) e infine 3 videogiochi (Ghost in the Shell per PS1, GITS: Stand Alone Complex per PS2/PSP e GITS: Stand Alone Complex First Assault Online per PC).

L’universo narrativo di Ghost in the Shell

L’opera ci proietta in un fantascientifico XXI secolo, così ipertecnologico ed evoluto da sembrare a tratti antico e decadente, caratterizzato dalla presenza di elementi che contribuiscono a creare un’atmosfera cyberpunk e post-cyberpunk.

È un mondo in cui l’ingegneria robotica e le nanomacchine hanno permesso l’ibridazione tra esseri umani e cyborg, in cui è possibile sostituire il proprio corpo biologico con uno meccanico, all’interno del quale vengono inserite la coscienza e la memoria dell’individuo; rappresentate dal “ghost”. In questo modo il soggetto, grazie al suo nuovo cervello cibernetico, può accedere alla rete e alla sua vastità di informazioni semplicemente servendosi della sua volontà di pensiero. È in grado inoltre di manipolare la sua stessa memoria, potendone cancellare e sovrascrivere alcune parti a suo piacimento.

Ed è partendo da queste premesse che l’opera vuole affrontare una serie di questioni filosofiche ed etiche che spaziano dal Transumanesimo al Dualismo cartesiano.

Come viene affrontato filosoficamente il problema dell’identità in G.I.T.S

L’opera di Shirow affonda le sue radici nel Transumanesimo.

Si tratta di un movimento culturale che attraverso il progresso tecnologico e scientifico propone il superamento dell’uomo (concepito come corpo organico) tramite l’ibridazione con gli androidi al fine di superare i limiti organici imposti dalla biologia, come l’invecchiamento. Il superamento dell’uomo deve avvenire tramite l’utilizzo delle scienze cognitive e della tecnologia. Secondo questa visione la mente può essere liberamente espiantabile dal nostro corpo e trapiantabile in un corpo artificiale.

Tale prospettiva si intreccia inevitabilmente con quella del Dualismo Cartesiano:

Cartesio divide la realtà in res cogitans (lo spirito) ovvero ciò di cui ho appurato l’esistenza e res extensa (il corpo) ovvero ciò di cui non posso accertare l’esistenza. In G.I.T.S lo spirito di cui parla Cartesio diventa il “ghost” che potremmo definire come la coscienza umana, ed è l’unica certezza che rimane agli uomini dato che il corpo, lo Shell, può essere sostituito a proprio piacimento e quindi essere mutevole nel corso della vita. Dunque quando gli esseri umani ibridano il loro corpo con quello di un cyborg, sono ancora esseri umani in quanto la mente è qualcosa di separato dal corpo.

Ma ecco che si pone con insistenza una questione che da secoli attanaglia la filosofia occidentale ovvero Cosa mi permette di rimanere me stesso e di identificarmi come un’identità, un soggetto anche nel momento in cui perdo una o più parti del mio corpo?”.

Per i Transumanisti e per Cartesio la soluzione è data dalla separazione che vi è tra mente e corpo, per cui la risposta più ovvia sembrerebbe essere il “Ghost” dato che esso rappresenta l’anima, non nel senso religioso del termine, ma quanto più come un qualcosa che contiene i ricordi di eventi passati e quant’altro che contribuiscono a creare il carattere e la personalità dell’individuo.

Ma se lo Shell cambia il Ghost rimane lo stesso?

È proprio questo uno dei nodi centrali di tutto l’universo di G.I.T.S. e per cercare di far luce su questa questione Shirow fa riferimento al Determinismo meccanicistico.

Questo approccio si basa sull’idea che il cervello sia una sorta di meccanismo in grado di ricevere degli input provenienti dal corpo, di elaborarli trasformandoli poi in output.

Anche nella psicologia cognitiva il cervello viene associato ad un processore di informazioni in cui qualsiasi comportamento umano possa essere spiegato attraverso una serie di processi mentali e algoritmi (come farebbe il processore di un computer).

 

Secondo questi due approcci la mente è ontologicamente legata al corpo ed emerge in conseguenza ad una serie di processi di complessificazione delle funzioni organiche del corpo stesso. Se fosse realmente così allora la mente (il ghost) che emerge in un corpo organico si manterrebbe sempre uguale nel momento in cui venisse impiantata in un corpo non umano?

La risposta che la serie ci fornisce è che anche il ghost subisce delle modifiche, la mente cambia così come è cambiato lo shell che la ospita. Un’altra particolarità interessante è che i cervelli cibernetici possono essere hackerati da virus in grado di danneggiare il software o il ghost senza distinzioni, evidenziando quindi che nonostante un corpo meccanico possa non avere debolezze, il cervello conserva le sue fragilità: è proprio intorno ad esse che si sviluppa la complessificazione nel tentativo di curarle. Cosa rende quindi l’uomo diverso da una macchina?

La coscienza che si risveglia negli androidi può essere definita come un’identità?

Nella serie possiamo notare un altro fatto interessante, in cui in alcuni androidi sembra nascere una coscienza, un ghost.

Ma ciò a cui l’opera punta è riassunto nella seguente domanda:

Il ghost che emerge da un’androide è lo stesso ghost che emerge come complessificazione delle funzioni biologiche organiche del corpo umano oppure è un qualcosa di completamente alieno e diverso?

In G.I.T.S. i cyborg grazie al machine learning sono diventati in grado di apprendere in maniera autonoma avendo un accesso pressoché illimitato al mare di informazioni presenti nella rete, ma solo alcuni hanno apparentemente smesso di seguire la loro programmazione originaria, sviluppando di conseguenza una propria personale identità.

Il confine tra uomo e macchina diventa ancora più labile se il robot che hackera un cervello cibernetico umano è diventato senziente e dotato di una sua coscienza che trascende dalla mera esecuzione delle informazioni contenute nel suo codice di programmazione.

In conclusione

La questione ultima su cui Shirow vuole farci riflettere non è tanto la potenziale perdita della nostra identità per come la conosciamo noi attualmente, ma quanto piuttosto un invito a riformulare il concetto identitario come qualcosa di mutevole, fluido e in continuo cambiamento.

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