Diverso tempo fa, ai tempi dell’ormai lontano Metin 2, mi ritrovai su un server ufficiale a cercare di capire come funzionasse questo noto MMORPG. A differenza di quanto mi aspettassi, scrivendo le mie necessità nella chat pubblica invece di essere ignorato o schernito, ricevetti tutto il supporto possibile, e forse anche di più. Nel giro di pochi minuti, infatti, qualcuno mi disse quali quest completare per prime in modo da ottenere il miglior risultato in termini di rapporto tra tempo speso a giocare e punti esperienza guadagnati; un altro utente mi suggerì le migliori armi entry level disponibili nei vari shop e dove trovare risorse rare; altri ancora mi ospitarono persino nel loro gruppo per muovere i primi passi insieme. Parallelamente, nella vita reale, girando per la strada e chiedendo indicazioni per raggiungere la nostra destinazione è possibile incontrare la gentilezza delle persone, le quali però a volte si limitano a darci la risposta, o addirittura qualcuno ci scansa perché indaffarato a portare avanti la propria agenda.
Quello che viene da chiedersi, riferendosi al sapere profano, è come mai le persone su internet, quando condividono un contesto online specifico, sembrano essere più supportive e disposte ad aiutare rispetto a quanto esperiamo nella quotidianità sui marciapiedi della nostra città. Cercando di svelare quel che un mistero in realtà non è, bisogna considerare che ognuno di noi ha una propria identità personale, che lo definisce in quanto individuo, e un’identità sociale (o più), determinata invece dalla propria appartenenza a un gruppo.
Relativamente a come ci comportiamo in un contesto sociale, sebbene i primi studi sulla folla, a partire da Le Bon, indichino che, quando all’interno di una moltitudine, le persone in condizione di anonimato regrediscono verso comportamenti che altrimenti non avrebbero messo in atto (riferendosi a comportamenti negativi in contesti come le manifestazioni), il SIDE Model di Reicher, Postmes e Spears (1995), che si interessa del comportamento sociale delle persone in contesti virtuali, sembra mostrare una versione diversa dell’essere umano.
Prendendo in considerazione due elementi fondamentali della nostra presenza online, ovvero l’anonimato e l’identificabilità, questo modello ci dice che, in base a quanto queste due dimensioni sono presenti, tendiamo a comportarci in un certo modo. Andando più in profondità in questa premessa, bisogna intendere l’anonimato come l’impossibilità di ricondurre quei comportamenti messi in atto alla persona reale che li compie e l’assenza di indizi su di essa, mentre l’identificabilità come la possibilità di attribuire la responsabilità di tali comportamenti a un attore specifico.
Secondo questi tre autori, dato che su internet non siamo in presenza, dotati quindi di linguaggio non verbale, caratteristiche fisiche, elementi del para-verbale e via dicendo, siamo in una condizione di povertà di indizi importanti su noi stessi. Questa scarsità va a rendere più difficile capire chi interagisce con noi, non disponendo di quanto è utile per dedurre chi sono gli altri, avendo però un impatto anche su noi stessi. Se infatti nella condizione abituale, ad esempio quando siamo con gli amici, io posso farmi un’idea su di loro e riconoscerli da come si comportano e da ciò che mostrano, molte delle cose che me lo permettono su internet non ci sono. E così percepisco l’altro come più simile a me proprio perché in quel momento il fatto di condividere lo stesso contesto di interazione è l’unico aspetto che ci permette di “esistere” all’interno di quella situazione. Allo stesso modo, in condizione di anonimato, per sapere chi sono io, l’unico elemento che me lo può suggerire è proprio la mia appartenenza a quel contesto; idem per capire con chi altri ho a che fare, su cui avrò le sole informazioni circa il fatto che pure loro, come me, sono lì a giocare a Metin 2.
Secondo i risultati delle ricerche condotte da questi tre grandi nomi delle scienze psicologiche, quando le persone sono in condizione di anonimato, se per loro il gruppo di appartenenza è saliente, l’identità sociale legata ad essere, per esempio, un giocatore di Metin 2 avrà un’importanza maggiore rispetto a quella personale, facendo sì che ognuno si allinei alle norme socialmente condivise in quel gruppo o, nel nostro caso, in quel server. A ciò va però aggiunto che, sebbene sia importante l’anonimato, ha un ruolo anche l’identificabilità. Infatti, se i comportamenti anonimi sono attribuibili a un giocatore (per intendersi, se ti vedi aiutare non da Stefano V. Stella ma da Niederwil) identificabile tramite avatar e nickname, questo tenderà ad aderire maggiormente alle norme di gruppo, coerentemente con tutti gli altri giocatori, proprio perché l’unica cosa che un giocatore sa su di sé in quel frangente è di essere il proprio avatar. Se questa accoppiata di alto anonimato e identificabilità non sussiste, o se il gruppo non è considerato saliente dalla persona, ecco che spunterà il classico e famigerato troll, seminando zizzania e fastidiosi comportamenti percepiti dagli altri come contrari alle regole normali di condotta di quel contesto specifico.
Ricapitolando, su internet l’unico elemento che ci dice che esistiamo in quello specifico contesto è il gruppo a cui apparteniamo, il nostro essere dentro quella situazione specifica. Così, senza sapere come mai, mi trovo ad aiutare un perfetto sconosciuto in un forum di informatica, dando consigli secondo il buon comportamento stabilito in quel gruppo, oppure maltratterò, in maniera ancora più marcata rispetto a quanto farei nella realtà, chi si allontana da quel modo di fare.
Per strada invece le nostre preoccupazioni, i nostri bisogni, la nostra identità personale occupano il palco più di quanto non faccia il nostro sentirci parte di una comunità. Di fronte all’altro, che si pone come mio limite in quanto diverso da me, ha più centralità quello che io sono, spingendomi, a meno che non ci si trovi immersi nella moltitudine, a mantenere una linea di comportamento dettata da altri fattori rispetto al far parte di qualcosa di più grande.
Su come cambia l’essere umano dal contesto reale a quello virtuale ci sarebbe tanto da dire, ma spero che per te, caro lettore, questo spunto sia più che soddisfacente per intavolare una riflessione più complessa.
Inoltre, potrebbe essere interessante applicare questo meccanismo per rendere più efficace la formazione e l’educazione delle persone (chissà, magari attraverso i videogiochi?). D’altra parte su internet è più facile aprirsi, svelare lati di noi che altrimenti rimangono celati per non fare brutta figura o per non sentirsi in imbarazzo. Alcune grandi aziende, sopratutto negli USA, favoriscono il clima e lo sviluppo organizzativo usufruendo di queste potenzialità di internet…dopotutto, chi non vorrebbe vedere tutti aiutarsi gli uni gli altri?
Fonti:
- Postmes, T., & Spears, R. (1998). Deindividuation and anti-normative behavior: A meta-analysis. Psychological Bulletin, 123, 238–259.
- Reicher, S., Spears, R., & Postmes, T. (1995). A social identity model of deindividuation phenomena. European Review of Social Psychology, 6, 161–198.
- Spears, R., Postmes, T., Lea, M., & Wolbert, A. (2002). The power of influence and the influence of power in virtual groups: A SIDE look at CMC and the Internet. The Journal of Social Issues, 58, 91–108.