Originariamente i videogiochi nascono come nuove forme di intrattenimento che si contrappongono ai medium più classici, come il cinema o la televisione e che appoggiandosi a vecchi e nuovi media (come Internet) si creano un loro spazio all’interno del panorama ludico.
Nel corso del tempo anche i videogame si sono evoluti e di conseguenza è cambiato anche il rapporto tra videogiocatore, alter ego e ambiente di gioco. Con quanto segue cercheremo di capire questi cambiamenti attraverso una prospettiva sociologica.
L’evoluzione del rapporto tra giocatore e ambiente virtuale
Dai primi cabinati arcade (come Pac-Man), in cui per giocare era necessario inserire un gettone, fino alla realtà virtuale: si tratta di un’universo in continua espansione che ingloba al suo interno modi sempre innovativi e diversi di videogiocare. Lo sviluppo tecnologico ha permesso di creare dispositivi sempre più potenti che hanno reso possibile un’esperienza di gioco sempre meno vincolata all’ambiente domestico, facendo così mutare la figura del videogiocatore (e liberandolo un po’ da qualche vecchio stereotipo). Ma a cambiare è stato anche l’ambiente di gioco: si è passati da una grafica bidimensionale e semplice (Donkey Kong) ad una grafica 3D e molto complessa (Battlefield 5), che punta verso il realismo, permettendo un’immersione sempre maggiore all’interno del gioco che culmina con la realtà virtuale.
L’alter ego virtuale come <<protesi digitale>>
È il sociologo Gerardo Fraschini a proporre la definizione di <<protesi digitale>>, stabilendo che è proprio quest’ultima che permette al giocatore di abbandonare la propria “realtà materiale” per entrare nella “realtà temporanea e fittizia” del videogioco. Fraschini propone 4 diverse tipologie di <<protesi digitali>>, che attraverso degli elementi caratterizzanti, definiscono il grado di immedesimazione del giocatore all’interno del gioco.
Per esempio, quando il giocatore si trova ad impersonare uno dei personaggi, la caratterizzazione del personaggio sarà quasi totale dato che egli può immedesimarsi completamente nella controparte virtuale oppure limitarsi ad instaurare una relazione empatica. Questo dipende infatti da quanto la personalità dei personaggi è definita e chiara: più sarà pre-costruita dagli sviluppatori e meno il giocatore avrà la possibilità di diventare lui stesso il protagonista della storia che sta vivendo.
L’importanza della narrazione nei videogiochi
La narrazione è una delle componenti principali nella creazione di un videogioco, perché permette al videogiocatore di immergersi in una sorta di “nuova vita”, interagendo con l’ambiente di gioco circostante, completando le missioni, provando emozioni e sentimenti che magari gli permetteranno di creare legami (più o meno forti) con l’universo narrativo del gioco, con gli NPC che lo popolano e con il suo alter ego digitale. Lo storytelling è la caratteristica principale delle avventure grafiche (Detroit Become Human o Sherlock Holmes) ma non solo: è fondamentale per tutti quei titoli che puntano molto sulla storia e su un buon gameplay (come The Last of Us o Days Gone). Di particolare interesse sono sia gli MMORPG (World of Warcraft) in cui la componente multiplayer si affianca all’impianto narrativo del gioco in termini di importanza, sia gli RPG singleplayer come Undertale.
Nel corso degli anni la narrativa nei videogames ha iniziato a farsi carico di questioni morali, etiche, filosofiche, ideologiche e così via; dimostrando come da storie relativamente semplici e votate “a uno scorrimento del gioco in quanto partita” si sia giunti ad affrontare tematiche dotate di una certa rilevanza sociale (ma non solo).
In conclusione
Concludendo possiamo ribadire il fatto che la relazione giocatore-personaggio è in costante evoluzione in quanto segue di pari passo l’evoluzione del’industria dei videogiochi, che cercando di proporre titoli sempre più innovativi, rimodella continuamente questa relazione.