Eroine o donne oggetto?
Non è più una rarità in ambito videoludico trovare titoli in cui personaggi femminili hanno ruoli da protagoniste. Resta però acceso il dibattito su come le eroine vengano rappresentate, con la frequente critica rispetto alla presentazione della loro immagine: pur non essendo passive sarebbero comunque rivolte agli occhi di un pubblico prevalentemente maschile. In trent’anni di avventure sullo schermo i personaggi femminili sarebbero “sexy, forti, secondari“, stando al titolo di una rassegna pubblicata nel 2016 da Lynch, Tomkins, Van Driel e Fritz. Le autrici riconoscono un calo nella sessualizzazione rispetto al picco avvenuto negli anni ’90, nonchè un generale cambiamento culturale nell’ambito del gaming, ma ribadiscono la diseguaglianza nelle rappresentazioni di genere.
Che cosa intendiamo per “personaggio sessualizzato“? Nella definizione data dalla American Psychological Association Task
Force on the Sexualization of Girls (2007) “una ragazza o donna è sessualizzata quando è ridotta alla sua attrattiva sessuale, aspetto, o comportamento, ed altre caratteristiche personali sono ignorate, o quando la sessualità è imposta sulla persona in modo gratuito (ad esempio preferirebbero essere valutate per altri aspetti della loro identità)”. E’ importante notare che questa definizione si riferisce ad esseri umani reali, dunque potremmo obiettare non sia applicabile a personaggi immaginari di codice e pixel.
Questo ci porta però alla questione degli effetti della sessualizzazione. La teoria dell’oggettificazione (Fredrickson & Roberts, 1997) sostiene che una frequente esposizione a messaggi di questo tipo portino il pubblico femminile ad adottarne la prospettiva rivolgendo la sessualizzazione verso se stesse. Questo implicherebbe il valutare il proprio corpo in termini di aspetto piuttosto che di competenze, considerandolo come unica espressione del proprio sè. Non stupisce dunque che nella letteratura scientifica emerga l’associazione fra disturbi dell’immagine corporea e auto-oggettificazione, così come un forte legame con i disturbi alimentari.
L’altra metà del gaming
Tornando alla rassegna di Lynch et.al si indica l’aumento delle giocatrici come promotore del cambiamento nei contenuti. Ma l’uso di personaggi femminili sessualizzati ha davvero un effetto sulla loro percezione del proprio corpo? Purtroppo ci sono pochi studi sull’impatto di questi contenuti sulle donne, probabilmente perchè i videogiochi sono stati a lungo considerati una attività prettamente maschile.
La revisione della letteratura del 2018 (Gestos, Smit & Campbell) riporta infatti solo due studi empirici sul tema. Nello specifico Morawitz & Mastro hanno evidenziato come non vi fossero effetti sull’autostima delle giocatrici a seconda del tipo di personaggio utilizzato, ma una leggera influenza negativa sulla percezione delle proprie capacità fisiche e cognitive. Fox et.al invece hanno rilevato una maggiore auto-oggettificazione dopo l’uso di un avatar sessualizzato in “Second Life“.
Quanto dobbiamo preoccuparci? E sopratutto questi effetti si traducono poi in azioni conseguenti?
Un recente studio sperimentale, pubblicato il mese scorso da Danielle Lindner e Christoper Fergunson, si è proposto dunque di indagare gli effetti dell’esposizione a un personaggio femminile sessualizzato sull’immagine corporea delle donne e i loro atteggiamenti verso altre donne. Questo a partire dalla precedente letteratura che indica come persone oggettificate sessualmente siano percepite in modo meno positivo (Johnson & Gurung, 2011; Vaes et al.,2011), ma anche per esaminare gli effetti non solo sulle credenze ma su possibili comportamenti reali a differenza degli esperimenti prima citati.
Le novanta partecipanti si sono trovate a giocare due diverse versioni di “Tomb Raider“. Nella condizione sessualizzata la protagonista Lara era vestita in un costume da bagno che lasciava esposte le gambe e ne sottolineava il seno e i fianchi. La scelta è stata motivata dall’abbigliamento inappropriato rispetto all’obiettivo della protagonista, ma non così eccessivo da far intuire alle partecipanti l’obiettivo dell’esperimento.
Prima e dopo la sessione di gioco è stato chiesto loro di compilare uno strumento di misura dell’auto-oggettificazione, il Twenty
Statements Test, dove veniva chiesto loro di completare l’affermazione “Io sono…” elencando attributi per descriversi. Questi sono stati poi codificati in base alla categoria, come ad esempio la forma fisica (“sono in sovrappeso”) l’aspetto (“sono brutta”) o le capacità (“sono forte”). Allo stesso modo stato poi misurato come le partecipanti si sentissero rispetto al proprio corpo (immagine corporea di stato) nel momento precedente e successivo al gioco usando la Body Images State Scale.
Rispetto invece al rapporto con le altre donne, la possibilità di comportamenti aggressivi è emersa dal “compito del ghiaccio“, già usato in studi simili. Le partecipanti dovevano, con il pretesto di un esperimento parallelo sulla tolleranza al dolore, decidere per quanto tempo infilare nell’acqua gelida la mano di una assistente mentre questa commentava quanto ciò fosse sgradevole. Gli atteggiamenti negativi nei confronti di altre donne sono stati inoltre misurati con il metodo del differenziale semantico: veniva chiesto di valutare una serie di attributi della ricercatrice che le aveva accompagnate, alcuni dei quali riflettevano oggettificazione o competenza.
Sessista per chi?
I risultati, sorprendentemente, non mostrano particolari differenze fra le due condizioni . Ma perchè?
Una possibilità è che le partecipanti vedessero Lara come qualcosa di fittizio, e non come oggetto di confronto o fonte realistica di messaggi rispetto ai loro corpi, come invece potrebbe esserlo una figura del mondo dello spettacolo. Ricordiamo che nel caso di Fox et.al le giocatrici si trovavano infatti a interagire attraverso un avatar e non un personaggio terzo. Forse l’esposizione a personaggi sessualizzati non è saliente come altre forme di oggettificazione, come nelle relazioni interpersonali. Questo, mettono in guardia gli autori, non vuol dire che l’auto-oggettificazione per confronto non avvenga, ma suggerisce che il processo sia più sfumato rispetto al quando e con chi si attivi. Come spesso accade in psicologia, è quindi buona idea evitare spiegazioni lineari causa-effetto.
Bisogna infine ricordare, come osserva Fergunson, che nella più ampia categoria dei giochi “sessisti” non c’è accordo su cosa li renda tali. Si va infatti dall’oggettificazione fisica, di cui ci siamo occupati in questo articolo, a concetti più sfumati come il ruolo passivo e bisognoso di alcuni personaggi. Cosa dire di Mario con la sua principessa da salvare?
Bibliografia
Behm-Morawitz, E., & Mastro, D. (2009). The effects of the sexualization of female video game characters on gender stereotyping and female self-concept. Sex roles, 61(11-12), 808-823.
Ferguson, C. J., & Donnellan, M. B. (2017). Are associations between “sexist” video games and decreased empathy toward women robust? A reanalysis of Gabbiadini et al. 2016. Journal of youth and adolescence, 46(12), 2446-2459.
Fox, J., Ralston, R. A., Cooper, C. K., & Jones, K. A. (2015). Sexualized avatars lead to women’s self-objectification and acceptance of rape myths. Psychology of Women Quarterly, 39(3), 349-362.
Gestos, M., Smith-Merry, J., & Campbell, A. (2018). Representation of women in video games: A systematic review of literature in consideration of adult female wellbeing. Cyberpsychology, Behavior, and Social networking, 21(9), 535-541.
Lindner, D., Trible, M., Pilato, I., & Ferguson, C. J. (2019). Examining the effects of exposure to a sexualized female video game protagonist on women’s body image. Psychology of Popular Media Culture.
Lynch, T., Tompkins, J. E., van Driel, I. I., & Fritz, N. (2016). Sexy, strong, and secondary: A content analysis of female characters in video games across 31 years. Journal of Communication, 66(4), 564-584.