L’Accessibilità in The Last of Us part II: un gioco senza barriere

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Tra i temi che interessano “The Last of Us part II” ve ne è uno di chiara importanza che purtroppo passa spesso in sordina, ma che necessita di una particolare e sensibile attenzione. È quello della game accessibility, termine con cui si indica l’implementazione di apposite funzioni all’interno di un videogioco pensate per renderlo accessibile ad ogni tipologia di utente. In particolare, qui parlerò di quei gamers che a causa di menomazioni visive, motorie o uditive, non avrebbero la possibilità di godere liberamente di un’esperienza videoludica.
A questo si può ovviare solo grazie ad una profonda considerazione dei loro bisogni da parte degli sviluppatori. Fortunatamente è quanto accade da anni all’interno degli studi di Naughty Dog. Nel settore dei titoli tripla A, la famosa software house ha dimostrato più di tutte come sia possibile venire incontro a questa non trascurabile fetta di pubblico, permettendo ai suoi componenti di oltrepassare le barriere che tipicamente li separano dal medium che tanto amiamo.

Secondo l’opinione di molti videogiocatori con disabilità, “The Last of Us part II” rappresenta ad oggi la riuscita massima di questo lodevole obiettivo, raggiunto raccogliendo i frutti di numerose ricerche sul campo e delle esperienze passate con precedenti titoli della medesima azienda (vedi  “Uncharted 4: Fine di un Ladro”). L’ultima grande opera ND include infatti più di 60 opzioni di accessibilità, alla cui progettazione è stato dedicato un ingente investimento di risorse fin dall’inizio dei lavori. Questi hanno coinvolto giocatori con disabilità come consulenti, la cui personale esperienza è risultata oltremodo preziosa.

 

 

Fin dal primo avvio di Tlou2, si ha la possibilità di attivare tre diversi preset indirizzati a chi ha deficit visivi, motori o uditivi. Essi racchiudono di per sé già una straordinaria varietà di funzioni capaci di supportare il videogiocatore attraverso il walkthrough come mai visto prima d’ora, permettendo addirittura di vivere l’avventura senza la vista. I tre preset si possono inoltre modificare a piacimento in modo incredibilmente flessibile, al fine di incontrare le specifiche necessità di ciascun individuo. Ciò testimonia un impegno encomiabile da parte dei Cagnacci, poiché è innegabile che l’attenzione sia stata rivolta al numero più esteso possibile di videogiocatori e non solamente a tre profili prototipici di persone con disabilità.

In “The Last of Us part II” le funzioni di accessibilità spaziano da quelle già consolidate in passato, a quelle più evolute e innovative, risultando in un’integrazione sbalorditiva di opportunità che non per forza necessitano di ulteriori device esterni da collegare (come il rivoluzionario l’Xbox Adaptive Controller).

Eccone alcuni esempi: per deficit visivi troviamo disponibile una sintesi vocale in grado di leggere qualsiasi stimolo scritto all’interno del gioco; si possono modificare dimensioni e colori dei sottotitoli e della HUD (Heads-Up Display); tramite un notevole sfruttamento del sottovalutato touchpad, è possibile zoomare qualsiasi area presente sullo schermo; esistono indizi uditivi associati a qualsiasi aspetto del gameplay che informano se serve accovacciarsi, sdraiarsi, nuotare, afferrare una corda, quale direzione prendere e persino qual è la posizione di nemici e oggetti nell’area di gioco. Specialmente per i daltonici vi è una modalità ad alto contrasto, simile a quella presente in Uncharted 4, in cui i propri alleati, i nemici e gli oggetti vengono evidenziati con diversi colori ad essi associabili.

 

Modalità a contrasto elevato

Per disabilità dell’udito è stata posta particolare cura nel rendere i sottotitoli del tutto fedeli al parlato, viene indicata la fonte delle voci attraverso indicatori visivi, si aiuta il giocatore a capire quando occorre evitare un attacco.
Per chi ha difficoltà motorie, il menù permette di rendere automatica la mira e l’orientamento della telecamera verso i punti di interesse. Inoltre, è consentito il rimappaggio completo dei tasti del controller, al punto da poter giocare la storia di Ellie con una mano sola! Questi sono solo alcuni esempi dei settaggi sfruttabili per poter terminare l’intenso viaggio di vendetta della protagonista e non possono che suscitare un applauso di ammirazione.

Questa direzione, imboccata da ormai tante case di sviluppo (vedi ad esempio Electronic Arts), è sempre più un obiettivo comune non ignorabile. Se consideriamo il valore culturale e sociale che va assumendo il medium videoludico, risulta lampante che la sua fruizione andrebbe considerata un diritto del più vasto pubblico possibile, se non di tutti. Inoltre non dimentichiamo che per molte persone con disabilità, il videogioco rappresenta uno dei rari strumenti per uscire dai propri limiti fisici, per prenderne una pausa. È un modo incredibilmente immersivo per vivere storie di personaggi da abilità straordinarie, le cui gesta offrono, tra le altre, una felice occasione di confronto con i propri coetanei, in cui sarà più facile essere giudicati per i risultati e i traguardi raggiunti nel gioco piuttosto che per le proprie caratteristiche fisiche.

Infine, quello della game accessibility è un tema che riguarda tutti, nessuno escluso, anche se spesso non ce ne accorgiamo. Chi oggi ha il privilegio di interfacciarsi coi videogiochi senza ostacoli, potenzialmente potrà imbattersi in essi nel corso della vita, anche momentaneamente dopo un qualsiasi incidente! E banalmente, tutti noi invecchieremo e saremo meno abili a utilizzare joystick, tastiere e quant’altro. Perciò, se similmente a me siete convinti di arrivare alla terza età ancora come gamer, se amate l’idea di poter condividere le intense esperienze vissute tramite Pc o console con chiunque incontriate, non possiamo che supportare le case di sviluppo impegnate in questo fondamentale settore.

L’augurio è quello di ottenere risultati via via più avanguardistici, abbattendo qualsiasi potenziale muro tra noi e i videogiochi, sulla scia degli insegnamenti dei creatori di The Last of Us.

Per saperne di più leggete l’articolo su Eurogamer.it

 

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