L’ambiente videoludico è riuscito, negli ultimi anni, a conquistare le luci della ribalta, grazie alla capacità di unire giocatori di ogni tipo con sfide sempre nuove e per tutti i gusti. In particolare, vediamo come un determinato panorama sia al momento sotto i riflettori: quello dell’eSport. Vari sono stati i giochi che sono riusciti ad affermarsi in questo settore (League of Legends, DOTA, Counterstrike), grazie a gameplay innovativi, dinamici e/o strategici, che hanno unito giocatori di sesso, etnia, e genere diversi, conquistando la fama mondiale in pochissimo tempo.
Eppure, si sa, una forte luce proietta sempre grosse ombre…
Sull’onda del movimento #MeToo (nato sui social media per dimostrare la diffusione della violenza e molestia sessuale), svariate sono state le testimonianze venute allo scoperto circa comportamenti inappropriati tenuti anche in questi ambienti lavorativi da famose personalità del settore, che sfruttavano la propria posizione di potere per obbligare la vittima di turno a compiere atti sessuali con loro.
Tra gli innumerevoli esempi, possiamo citare quello di Tobi “TobiWan” Dawson, pluripremiato commentatore di Dota2, adesso sotto accusa di molestie da parte di varie ragazze con cui avrebbe avuto atteggiamenti e messaggi ben più che solo allusivi e contro le quali ha utilizzato la propria celebrità per screditarle. Nika Harper, coordinatrice di comunità per Riot Games e scrittrice, che durante l’ECCC (Emerald City Comic Con, per cosplayer e fumettisti) ha pubblicamente assalito più volte una collega, dando la colpa all’assunzione di alcol. O Joe Miller, shoutcaster per la Riot Games e attualmente Head of Talent per ESL (Electronic Sports League, azienda che si occupa di organizzare eventi eSport), di cui parleremo ora più nel dettaglio per motivi esemplificativi, ma di cui potrete leggere qui per intero.
Nel lontano 2014 una ragazza, Criss, aveva appena iniziato a vivere il suo sogno di sviluppatrice: essere assunta nella software house che aveva dato vita al suo gioco preferito, League of Legends. Ben presto, però, si scontra con una realtà che ben poco ha di idilliaco. Joe Miller, allora commentatore ufficiale per la Riot, sfrutta l’occasione di un party tra colleghi per istigarla a bere della vodka e usare a proprio vantaggio il loro stato alterato per fare proposte sessuali a lei ed un’altra ragazza che, benché rifiutate, vengono subito seguite da forzati palpeggiamenti ai seni. Nonostante le evidenti ritrosie della ragazza, Joe continua a fare pressioni affinchè lo accompagni in hotel. Avendo paura che un ulteriore rifiuto troppo brusco possa costarle la carriera a malapena iniziata, ella accetta a malincuore, riuscendo infine a trovare l’unica soluzione possibile per abbassare l’eccitazione dell’uomo e sfuggire alla situazione: auto-indursi il vomito per fargli chiamare un Uber che la riportasse a casa. La situazione, tuttavia, ha effetti anche sul posto di lavoro, dove Criss si trova costretta ad assumere atteggiamenti evitanti pur di non incontrarlo. Situazione che prosegue su Facebook, dove l’uomo invia svariati messaggi allusivi e poco passibili di errata interpretazione (es.: “sei sempre fedele al tuo ragazzo?”; “le relazioni contano anche a diversi Stati di distanza?”) per mesi, senza che lei sapesse cosa fare, oltre che non rispondere. Durante lo scorso mese, dopo ben 6 anni, Criss finalmente trova il coraggio di raccontarsi e scopre di non essere la sola ad aver subito tali molestie da Miller.
Leggiamo il comportamento
Sottolineando che non si può fare “diagnosi a distanza” e che non è nostra intenzione imbastire un processo alla persona, proveremo a leggere l’accaduto da una prospettiva psicologica.
Dal racconto della ragazza, corroborato anche da testimoni e da screenshot delle conversazioni online, possiamo immediatamente affermare che sia stata vittima di molestie sessuali (sexual assault). Tramite un rapido sguardo alla letteratura, possiamo inquadrare l’aggressore come un “sex offender” che ha avuto atteggiamenti sia hands on che hands off.
In criminologia vengono, infatti, definiti come Sex Offender coloro che mettono in atto comportamenti sessuali (sia fisici che verbali), ignorando la presenza o meno del consenso altrui. Ciò, naturalmente, include un’ampia gamma di atteggiamenti che possono variare dall’atto sessuale vero e proprio, al toccare in maniera inappropriata (condotte hands on, dove le mani dell’aggressore toccano la vittima), al mostrare genitali o mimare atti (condotte hands off, dove non c’è un contatto fisico), all’utilizzo improprio di Internet e applicazioni di messaggistica online. In base alla condotta tenuta, possiamo distinguere varie categorie di offender, tra cui possiamo citare: i Compensatori, che cercano rassicurazioni affettive nelle vittime e usano la coercizione per arrivare all’atto; gli Assertivi, il cui focus è sul controllo della vittima, spesso lasciata in uno stato di shock per via sia dell’agito che dell’uso di alcol e/o droghe (come nel racconto di Criss); ed i Retaliator, che mirano solo a degradare ed umiliare le vittime per esternare violenza, a prescindere che ci sia o meno il consenso all’atto sessuale.
Perché si delinque?
Pur sottolineando il nostro distacco da tali atti, vogliamo qui dare una lettura approfondita della psicologia di questi particolari autori di reato, come percepiscono il mondo e quale sia la loro visione delle vittime.
Svariati studi concordano sul fatto che alla base potrebbe esserci una storia di abusi familiari, la quale indurrebbe un’errata convinzione circa le normali modalità di relazionarsi o a gravi deficit nello sviluppo di un’appropriata Teoria della Mente (intendendosi con ciò la capacità di fare assunzioni circa gli stati mentali altrui). Secondo altre teorie, il problema sembrerebbe derivare dall’incapacità di entrare in una relazione empatica con la vittima, riuscendo magari a comprenderne intellettivamente gli stati emotivi ma non a tradurli in una “simpatia” (dal greco, “sentire insieme”) che gli permetta di limitare gli atteggiamenti devianti. Particolari, al riguardo, sembrano le meta-analisi offerte da Joliffe e Farrington, suggerenti che tale mancanza sia più accentuata nei delinquenti eterogenei (che hanno quindi una diversificata carriera criminale alle spalle), piuttosto che in quelli “specializzati” in reati sessuali. Grey e colleghi, d’altro canto, hanno mostrato in uno studio sulle emozioni come i sex offender abbiano difficoltà nel decodificare gli stati emotivi definiti dalle interazioni facciali (in particolare, scambiando la rabbia con il disgusto e la paura con la sorpresa). Interessante risulta anche un focus sulle fantasie sessuali degli autori di reato: in alcune ricerche (Ward, Gee, et al.) è risultato che l’aggressione o la molestia potesse essere l’acting out (ovvero il passaggio all’azione) di ideazioni devianti usate per regolare uno stato affettivo, gestire l’arousal sessuale o le situazioni difficili o, addirittura, come strategia adattiva per tenere a bada il bisogno criminogeno tramite una simulazione mentale.
Collegato a tutto ciò, vi sono anche le motivazioni dietro la negazione di colpa; tra queste la più ovvia è, naturalmente, la paura delle ripercussioni penali. Ma tale diniego può essere anche utile all’autore di reato, in quanto fornisce una sorta di protezione del Sé dalle conseguenze psicologiche, sociali e familiari che deriverebbero dall’ammettere di aver commesso un atto così nefasto. In questa prospettiva subentrano anche delle giustificazioni – o “versioni” di realtà se vogliamo – di cui l’offender si convince, al fine di minimizzare o giustificare i suoi atti. Tra i più frequenti vediamo l’utilizzo di alcol o sostanze psicotrope, in quanto colpevolizzati dell’esplicitazione dell’atteggiamento antisociale; la convinzione di non aver usato una forma estrema di violenza, per cui l’atto in sé non avrebbe conseguenze sulla vittima; aver “insegnato” all’altro o stare “giocando”; il minimizzare e screditare la vittima che si sarebbe “divertita” o che “se l’è cercata”, in quanto foriera di provocazione.
Citando ancora gli studi di Farrington, risulta comunque interessante notare come, nonostante il poco spazio dedicato dai mass media, i casi di sex offender di sesso femminile siano presenti, seppure in numero minore rispetto a quelli di sesso maschile (anche se bisogna tenere in considerazione il cosiddetto Numero Oscuro, ovvero la percentuale di reati che non arriva all’attenzione degli organi giudiziari); inoltre il rischio di recidiva per questo tipo di delinquenza è estremamente basso (tra il 10 ed il 20% in un periodo di follow up di 10 anni, secondo la meta-analisi effettuata da Hanson), specialmente in coloro che si sottopongono a trattamento comportamentale e terapia.
E la vittima?
Finora abbiamo parlato dell’aggressore, ma in queste storie c’è un altro attore: la vittima. La letteratura, sfortunatamente, non si è spesso dilungata sull’argomento, preferendo come oggetto di studio quello proprio del reato, tuttavia è estremamente importante valutare come atti di questo tipo possano avere conseguenze devastanti sulla psiche, alcune più adattive, altre meno.
Tenendo conto della rispettiva individualità, vediamo come la persona possa iniziare a cercare disperatamente una spiegazione alla violenza subita, incolpandosi e chiudendosi in sé, cercando dei modi per “ripulirsi” e non far ricapitare tali situazioni. Nei racconti di chi riesce a trovare la forza di parlarne, gli avvenimenti sono spesso descritti come qualcosa che li ha “macchiati” indelebilmente agli occhi del mondo, non importa quanto a lungo o fortemente cerchino di lavare via l’accaduto. Tale onta, se non trattata in un contesto comprensivo e che riesca a gestire pienamente il vissuto, rischia di tramutarsi in un dolore psichico troppo grande per essere elaborato e che non permette di proseguire la propria vita, inducendo episodi depressivi, ansia, agitazione ed evitamento di luoghi, cose o persone che possono causare flashback di quanto accaduto (come nei Disturbi Post-Traumatici da Stress) o sviluppo di dipendenza da sostanze. Famosi sono anche i casi in cui le vittime cerchino di ridurre al minimo la propria femminilità (se donne), ritenendo che ciò possa diminuire le probabilità che il fatto riaccada, si auto-mutilino per punirsi, o attuino una sorta di identificazione con l’aggressore, iniziando a loro volta a cercare una “preda”.
Particolare risulta anche il caso in cui la vittima dell’offesa (che sia dello stesso tipo menzionato o che si tratti di un abuso solo emotivo o cognitivo) sia un bambino. Secondo il Paradigma delle Carriere Criminali di Farrington, questo tipo di passato può essere un pesante (ma non assoluto!) predittore di comportamenti antisociali nell’età adulta, uno tra cui la trasformazione da Abusato ad Abusante.
Dopo così tanto tempo?
Quali sono le motivazioni dietro una denuncia spesso così posposta, come nel caso di Criss?
La risposta a questa domanda sta nell’individuale e necessario tempo affinché il trauma venga assimilato e affrontato. E’ difficile che un’esperienza così intrusiva e lesiva non lasci segni psicologici che abbiano bisogno di essere processati, ma ancora più importante è il fenomeno della Vittimizzazione Secondaria: la società attuale, infatti, risente ancora fortemente di un’impostazione patriarcale. Impostazione che, purtroppo, da ancora le basi per cui l’uomo deve avere un atto sessuale perché venga riconosciuto come “virile” o propriamente “maschio”; mentre la donna deve conservare il più possibile la propria verginità, pena la vergogna ed il disonore. Questo processo mentale si verifica ogni qual volta una vittima di abuso viene trasformata in oggetto di intrattenimento dalla sensazionalizzazione dei mass media: gli uomini non sono abbastanza uomini o “si sono divertiti”, mentre le donne “se la sono cercata” o “tanto sono delle poco di buono”. Per questi motivi, in una moltitudine di casi, le vittime evitano di farsi avanti, tenendosi tutto dentro per paura di essere marchiati e giudicati. Ciò diventa particolarmente doloroso in contesti molto ristretti come quelli offerti dai piccoli paesini, dove tutti si conoscono e si tende quindi a non credere che “uno di loro” (dinamica dell’ingroup) possa essere stato capace di atti simili, minimizzando o giustificando il racconto per non spaccare la coesione interna del gruppo sociale.
Un altro aspetto da prendere in considerazione è la possibilità che il soggetto soffra regolarmente di abusi e che l’Offender intimi di non parlarne, tramite coercizione fisica, mentale od emotiva. Nel caso ad esempio vediamo come Criss avesse un grande timore delle ripercussioni sociali e lavorative che Miller avrebbe potuto riversarle addosso sfruttando la propria posizione interna all’azienda e distruggendole quindi la carriera. Simile preoccupazione viene espressa nei tweet delle ragazze molestate da Dawson, il quale usava la fama sui social network per screditarle. Una delle tattiche usate dai sex offender consiste, infatti, nel controllare la vittima tramite minacce (come la prospettiva di abbandonarla, nel caso di relazioni a lungo termine, o di distruggerle la vita), che rendono impossibile, per il soggetto, uscire allo scoperto e denunciare la cosa finché non trovano un modo per liberarsi di questa enorme pressione, spesso anche tramite il ricorso alla violenza auto od etero diretta.
Lo spunto da cui siamo partiti, la scoperta di tali comportamenti anche in un ambito a noi molto vicino – quello dei videogames – è un ottimo trampolino di lancio per comprendere meglio la portata di tali fenomeni e quanto intrusivi essi possano essere. Se conoscete qualcuno che potrebbe mettere in atto comportamenti lesivi della libertà sessuale altrui (o se voi stessi vi riconoscete in quanto descritto), non difendetelo tramite il silenzio, ma cercate di far capire come il suo comportamento potrebbe avere delle serie conseguenze sulla psiche e sul corpo di un altro essere umano e che potrebbe essere necessario l’aiuto di uno specialista che li possa aiutare a correggere questo tipo di comportamenti ed evitare che possano svilupparsi ulteriormente verso un acting out criminale. Se invece siete le vittime di un abuso o molestia, sappiate di non essere soli al mondo e che esistono svariate associazioni capaci di sorreggervi ed aiutarvi in questo momento: la polizia stessa offre supporto psicologico e protezione per le vittime di abuso, ma esistono anche associazioni come Il Telefono Rosa o la SISPSe (Società Italiana di Psicopatologia Sessuale) o anche lo stesso staff di questo sito che sono disponibili ad ascoltarvi od indirizzarvi verso uno specialista vicino a voi.