Vi è mai capitato durante un’esperienza videoludica di sentirvi letteralmente proiettati all’interno del mondo virtuale ricreato davanti ai vostri occhi? Come se per magia vi sentiste parte di esso e iniziaste a ragionare, a prendere delle scelte e a sentire come farebbe lo stesso avatar che comandate? Non parlo di un qualche tipo di episodio allucinatorio, ma di un fenomeno che molti giochi sono in grado di suscitare e da i quali l’utente viene inevitabilmente attratto. È la presenza, ovvero quella sensazione di essere psicologicamente o persino fisicamente dentro il mondo simulato sul nostro schermo o nel nostro visore di realtà virtuale.
A questo concetto si associa il tema dell’immersività: più una tecnologia è immersiva, più è facile che il nostro cervello si illuda di trovarsi all’interno del mondo virtuale. L’immersività è data da determinate caratteristiche che possiamo classificare in quattro macrocategorie: immersività narrativa o emozionale, immersività spaziale, immersività senso-motoria, immersività cognitiva. Nei vari videogiochi o tipi di tecnologia (es. VR vs Pc/console) alcune delle suddette categorie prevarranno sulle altre, combinandosi in modo peculiare per ogni singola esperienza.
In generale, trame coinvolgenti vissute da personaggi psicologicamente credibili, spazi virtuali convincenti per il fruitore, feedback sensoriali congrui agli eventi virtuali, richieste di un investimento cognitivo, sono tutti elementi capaci di stimolare profondamente il senso di presenza. È grazie a questi che arriviamo a commuoverci o ad empatizzare con i personaggi, a sentirci in potere di agire “fisicamente” nello spazio di gioco, a spostarci improvvisamente sulla sedia se sentiamo/vediamo un proiettile inaspettato arrivarci addosso, a evitare ostacoli virtuali in realtà inesistenti se utilizziamo la VR, o a sentire il battito cardiaco aumentare quando dobbiamo prendere delle importanti scelte strategiche che sono cruciali per la vittoria.
Con l’arrivo della Playstation 5 e del nuovo controller DualSense, parlare di presenza e immersività nel mondo console è particolarmente interessante. Il DualSense supporta infatti il feedback aptico, tecnologia in grado di comunicare col videogiocatore attraverso specifiche sensazioni tattili.
Nel nuovo controller Sony, queste ultime sono state progettate per rievocare il mondo di gioco stesso, obiettivo a detta di molti più che raggiunto. Tuttavia, descrivere verbalmente le sensazioni provate sulle proprie mani impugnando il DualSense è un compito pressoché impossibile: l’esperienza va senza dubbio provata per poterla comprendere appieno.
Non pretendendo di avere più successo di altri, mi limito a raccontarvi due esempi che mi hanno particolarmente sbalordito: nel gioco dimostrativo pubblicato da Sony, Astro’s Playroom, il robottino di nome Astro che comandiamo potrà pattinare sul ghiaccio o dovrà attraversare aree molto fangose. Nel primo caso, sul palmo delle mani si è in grado di percepire il “taglio” dei pattini sul ghiaccio, lateralizzato in corrispondenza della gamba che il robottino appoggia sulla superficie; nel secondo caso, si avvertirà una sensazione di “pesantezza” del DualSense in grado di suscitare il senso di fatica associato all’attraversamento di quel tipo di terreno. Oltre a questi due esempi, ogni singolo feedback sensoriale presente nel gioco è in grado di replicare le sensazioni tattili che ci aspetteremmo stia provando il nostro piccolo avatar: dalla morbidezza dell’acqua mentre si nuota, alla sensazione dei fili d’erba o dei granelli di sabbia mentre vi si corre sopra; dal ticchettio dei propri passi su superfici metalliche, alla rottura di lastre di vetro colpite da un nostro pugno. Tutti gli esempi sarebbero troppi da elencare!
Anche i trigger posteriori hanno subito un importante upgrade. Si tratta di trigger adattivi: essi sono in grado di respingere al giusto ritmo le nostre dita mentre spariamo una raffica di colpi, o di vibrare quando attiviamo i propulsori della navicella di Astro Bot, o di resistere alla pressione quando dobbiamo fare uno sforzo come tirare un oggetto pesante. Molto è stato investito anche sulla tecnologia dell’audio 3D, introducendo il Tempest Engine, che mira a far percepire accuratamente la provenienza di ogni suono da ogni possibile direzione.
In particolare per il feedback aptico, un risultato così fine e innovativo non si era mai visto nelle precedenti console, Sony e non. Unito alle altre tecnologie implementate, viene dunque potenziata oltremodo l’immersività senso-motoria. Ciò ci porta senz’altro a sentirci ancor più presenti all’interno del gioco. Oggi però possiamo solo sbizzarrirci con l’immaginazione nell’ipotizzare come tutto ciò influirà sull’esperienza dei nuovi giochi next gen o su nuove tecnologie future. Come sarà, nei prossimi titoli, percepire la sensazione del fendente di una spada? O la derapata sull’asfalto di una macchina guidata a tutta velocità? O la discesa da una vetta innevata con la propria tavola da snowboard? Quello che bisogna augurarsi è che gli sviluppatori sfrutteranno al meglio queste nuove opportunità per inserirle nei loro nuovi progetti con la stessa cura trovata in Astro’s Playroom. Io rimango entusiasta e desideroso di provare letteralmente sulla mia pelle un nuovo modo di vivere le mie avventure virtuali.