Chiunque abbia mai giocato ad un videogioco, sa che spesso nell’ambiente virtuale non agisce direttamente il giocatore, ma bensì un avatar, ovvero un “alter ego digitale” che ne impersona la volontà e la capacità d’azione dell’utente. Ma come si approccia la nostra mente a questi sostituti digitali?
A chi nella vita non è mai capitato di creare un avatar? Ormai nei videogiochi la creazione di personaggi per interagire con l’ambiente virtuale è prassi comune. Dal semplice scegliere un personaggio in Smash Bros, al crearne uno da zero in the Sims, qualsiasi videogame richiede al suo fruitore di prendere le veci di un personaggio digitale per potersi muovere nella realtà che lo costituisce. Tuttavia la scelta di un personaggio piuttosto che un altro o la creazione di esso secondo determinate caratteristiche a scapito di altre non è un fattore casuale, per cui come mediamo la creazione e la gestione di questi aspetti a livello psicologico?
UN AVATAR DA VIDEOGAME – Prima di iniziare bisogna sottolineare come gli avatar non siano utilizzati unicamente nel mondo videoludico, pensate ad esempio al buon vecchio Windows Live Messenger, o magari, per essere più attuali, al moderno WhatsApp. Entrambe queste piattaforme per la comunicazione richiedono la scelta da parte dell’utente di un avatar. Infatti, se ci pensate, esse vi propongono la scelta di un’immagine che vi rappresenti e che vi renda riconoscibili, insieme ad altri dati, dai vostri interlocutori. Anche queste sono detti avatar (più precisamente avatar relazionali) ma hanno un’altra funzione rispetto agli avatar da videogame (denominati avatar agentivi). La differenza tra queste due tipologie sta nella loro funzione, mentre la prima ha un compito prettamente di riconoscimento (l’immagine serve semplicemente ad attribuire determinati messaggi a qualcuno), la seconda consente di agire all’interno del mondo digitale, di comunicare e di esprimere intenzioni.
I COMPITI DI UN AVATAR – Per poter comprendere come la nostra mente si approccia a questi sostituti digitali, è il caso di domandarci quali sono i compiti che questi svolgono per i giocatori. Argenton e Triberti, nel loro libro “Psicologia dei videogiochi” individuano principalmente due funzioni dell’avatar agentivo, che sono appunto l’agire e il comunicare per conto del giocatore nella realtà digitale. Insomma l’avatar sarebbe configurato come un’estensione della capacità d’azione del suo utilizzatore. Oltre a questo aspetto, bisogna anche puntualizzare che non tutti gli avatar adempiono agli stesso compiti. Nello specifico possiamo identificare due classi di avatar: l’avatar alter ego, ovvero quell’avatar che ha delle caratteristiche pre-impostate fisse, di cui prendo il controllo per poter agire in una determinata vicenda al fine di raggiungere ad un determinato scopo (si pensi a Link del videogioco Zelda, io prendo il controllo del personaggio che ha forti caratteristiche non negoziabili per poter agire nella storia del gioco) e l’avatar estensione, ovvero un avatar privo di caratteristiche peculiari, che io posso modificare in maniera più o meno forte e che può essere costruito, anche in termini identitari, a mio piacimento. È chiaro come queste due diverse tipologie di avatar abbiano compiti ben differenti. Se il primo tendenzialmente è utilizzato più per una questione di “necessità” (io lo uso per poter agire nella storia); il secondo è più incline all’espressione identitaria (io lo costruisco a seconda di diverse caratteristiche).
LA COSTRUZIONE DI UN ALTER EGO – Fatta luce su tipologie e compiti degli avatar, andiamo ora ad approfondire il punto focale del discorso: come e perché costruiamo determinati tipi di sostituiti digitali? Per spiegare ciò dobbiamo far riferimento a due teorie: la teoria dell’identità sociale di Tajfel e Turner (1986) e la teoria del sé reale/sé ideale di Higgins (1987). La prima teoria sostiene che la nostra identità sia costituita dal sé personale (ovvero tutte le caratteristiche personali proprie dell’individuo) e dal sé sociale (cioè tutte quelle caratteristiche che fanno riferimento ad un gruppo sociale); la seconda invece sostiene che l’identità si suddivide in sé reale (ciò che sono realmente) e sé ideale (ciò che vorrei essere). Partendo spunto da queste teorie possiamo ipotizzare come la scelta di un avatar può essere mediata 1) da quanto questo deve rappresentarmi in un gruppo sociale 2) da quanto voglio che l’avatar sia come sono realmente piuttosto che come vorrei essere. Il discorso è abbastanza complicato ma proviamo a semplificarlo con un esempio: in un gioco fantasy potrei creare un avatar con poteri magici (perché ho da sempre sognato di possedere tali poteri), ma nel contempo con caratteristiche fisiche simili alle mie (perché mi piacerebbe vivere in prima persona l’avventura a cui sto per prendere parte). E magari posso anche attribuirgli caratteristiche di personalità o un vestiario particolarmente forte, perché voglio comunicare agli altri (al gruppo sociale) che sono una persona sicura e decisa. Quest’ultima parte dell’esempio fa emergere un altro dato importante, l’intenzione comunicativa. In altre parole oltre alle questioni identitarie, il mio avatar poterà con sé anche ciò che voglio comunicare agli altri. Quindi anche la motivazione del suo creatore è importante. Se devo creare un personaggio che trasmetta forza sceglierò determinate caratteristiche, se ne voglio creare uno che mi faccia comparire competente ne selezionerò altre. Insomma possiamo concludere che la creazione di un avatar è mediata da un lato dalle questioni identitarie (come sono, come vorrei essere, che caratteristiche ho e che caratteristiche ha il gruppo a cui appartengo) e dall’altro da aspetti motivazionali (cosa voglio comunicare, per cosa mi serve l’avatar, perché lo creo).
MILLE E UNO USI DI UN AVATAR – In sostanza dunque, un avatar cosa permette alla mente di fare? Innanzitutto le consente di esprimersi a seconda delle caratteristiche identitarie che questa ritiene di avere. Nella vita non è sempre facile mostrarsi per come si è o per come si vorrebbe essere, dunque un avatar, in una realtà virtuale, può consentire ad un soggetto di sfogare le sue fantasie identitarie più assurde senza doverne subire le conseguenze. Inoltre l’avatar può anche permettere l’esplorazione di ruoli inaccessibili nella vita reale: pensiamo ad esempio il fatto di vestire i panni dell’eroe o del cattivo in un free world. Psicologicamente significa assumere un ruolo inaccessibile nella vita e fare esperienze comunque significative in tali vesti, traendone magari degli insegnamenti. Insomma l’avatar consente alla mente di compiere esperienze che la vita reale non gli consentirebbe di fare, in un mondo digitale, ma altrettanto significativo.