Il mercato videoludico, come qualsiasi altro, è soggetto a mutamenti continui. Tra questi, un meccanismo ha particolarmente fatto parlare di sé negli ultimi anni: le loot boxes.
Apparse nel lontano 2004 nei mmorpg e nei primi giochi free-to-play, queste servivano a garantire agli sviluppatori di giochi gratuiti un certo apporto di denaro per le spese di sviluppo e gestione, tramite l’acquisto con valuta reale di miglioramenti estetici o potenziamenti normalmente non ottenibili o di difficile reperibilità. Naturalmente, l’iniziativa ha subito fatto gola ad una buona fetta di giocatori, tanto che, in seguito, queste hanno iniziato a divenire sempre più appetibili ed a prendere in prestito alcuni meccanismi utilizzati dalle ben più conosciute slot machines (Griffiths, 2019).
I meccanismi
Le loot box quindi sarebbero costruite in modo da acchiappare e mantenere l’attenzione dell’utente tramite un insieme di suoni festosi e luci intermittenti che accompagnano l’esperienza dell’utente che, senza accorgersene, inizierà a subire l’effetto del rinforzo positivo costituito dalle vincite e sarà quindi più invogliato ad utilizzare il comportamento, in precedenza neutro, del puntare. Questo tipo di condizionamento, detto operante, può anche utilizzare una leggera variante. Se di solito, infatti, il soggetto si aspetta una ricompensa dopo ogni azione, in questo tipo di giochi si preferisce dare un premio in maniera discontinua (rinforzo intermittente), facendo sì che il giocatore reiteri l’azione nella speranza di un ulteriore vincita. E’ stato, infatti, dimostrato come tali individui dimostrino un certo “ottimismo” relativamente alle possibilità di vincita (un po’ come quando decidiamo di scommettere sulla nostra squadra del cuore, pur sapendo che le possibilità sono contro di noi), secondo gli errori di pensiero “se adesso ho perso, significa che dopo vincerò” o, ancora, “mi rifaccio delle perdite tramite le prossime vincite” o “se vinco devo approfittare della mia fortuna”.
Allo stesso modo, le loot boxes hanno iniziato ad utilizzare suoni e luci brillanti per accompagnare l’apertura di “scatole” il cui contenuto viene determinato all’apertura in maniera puramente casuale. Ciò fa si che il giocatore venga incentivato ad aprirne un numero sempre maggiore, così da accaparrarsi quanto di più raro possa esserci dentro, grazie anche alla promessa che in seguito all’acquisto di un determinato numero di pacchetti le ricompense miglioreranno sensibilmente (Drummond & Sauer, 2018; Griffiths, 1996). Meccanismi condivisi anche dai cosiddetti gacha games, in cui per vincere si dovranno utilizzare unità trovate in maniera casuale come nelle classiche macchinette a capsule (dal giapponese “gashapon”), utilizzando valuta ottenibile nel gioco o tramite microtransazioni.
Il Gambling
Quanto descritto può richiamare alla mente un determinato disturbo che si ciba di tali meccaniche: il Gambling o Gioco d’Azzardo Patologico. È bene specificare che cadere in “tranelli” come quelli descritti su, non equivale a sviluppare il disturbo. Esiste infatti, come nel caso del tabagismo o dell’alcolismo, un utilizzo più moderato che non impatta negativamente sulla vita del soggetto, così come un utilizzo che verrà definito semplicemente “problematico” in quanto utilizzerà molte delle energie e delle risorse dell’individuo senza tuttavia che si sviluppi una vera e propria dipendenza. Come in ogni caso di addiction, chi ne soffre dimostra una scarsa capacità di resistenza agli impulsi, una crescente resistenza nei confronti dello stimolo e la conseguente necessità di puntare di più, il ricorso a metodi poco legali per procurarsi il denaro necessario o l’indebitamento, così come i classici stimoli da astinenza, come l’irascibilità, e l’utilizzo del gioco come fuga dalla realtà e dai sentimenti negativi che ne derivano. Diviene essenziale, in tali casi, che amici e familiari aiutino il soggetto ad uscire da tale circolo comportamentale, indirizzandolo verso specialisti del settore, come quelli del Ser.D. (Servizio Dipendenze).
Quali regolamenazioni?
Non sono rari, infatti, in cui casi del genere, specie tra i minori che facevano ricorso alle su citate loot boxes, sono venuti allo scoperto solo grazie alle esorbitanti somme di denaro impiegate ed i problemi da ciò derivati per via delle scarse indicazioni presenti sui giochi o della facilità con cui questi pagamenti venivano caricati sulle carte di credito (come nel recente quanto clamoroso caso in cui le software houses Epic Games ed Electronic Arts, interrogate al riguardo, hanno analogato tali acquisti a quelli dei famosi ovetti al cioccolato con sorpresa). Ciò ha portato parecchie associazioni a chiedere che tali spese vengano regolamentate ed indicate nelle confezioni dei videogames tramite ratings come quelli offerti dal PEGI. Interessante come alcune nazioni (Belgio e Olanda nel 2018) abbiano considerato il funzionamento di queste “scatole” come equivalente a quello del gioco d’azzardo e come, quindi, debba seguire le stesse regolamentazioni, mentre altri paesi (tra cui il nostro) ancora tentennino al riguardo, rimandando qualsiasi discussione in merito.
Naturalmente, per quanto alcune ricerche abbiano tentato di dare una risposta alla domanda che probabilmente si porranno alcuni di voi (Griffiths, 2019; Macey, & Hamari, 2019; Zendle, & Cairns, 2018; 2019), non vi è ancora un’uniformità di pensiero nella comunità scientifica circa il rapporto che legherebbe le loot boxes allo sviluppo di problemi relativi al gambling, vista anche la ristretta mole di ricerca al riguardo.