Questo 2020 ha messo alla prova non solo noi italiani, ma il mondo intero. Una vera e propria pandemia ha influenzato fortemente svariati campi, da quello politico, a quello economico e, inevitabilmente, a quello socio-psicologico.
Ci siamo infatti trovati a dover far fronte a un provvedimento eccezionale come quello della quarantena forzata, con un conseguente adattamento da parte di ciascun individuo nella riorganizzazione e gestione della propria vita e quotidianità. Questo per alcuni ha comportato una nuova modalità di lavoro, ovvero lo “smart working”, pratica quasi sconosciuta sul territorio italiano; altri invece hanno avuto modo di approcciarsi ai “webinar”, termine che è esploso di popolarità durante questa pandemia, anch’esso poco conosciuto e consistente in seminari e/o corsi online.
Per molte altre persone invece la pandemia è stata vissuta come un forte periodo di stress lavorativo in luoghi come gli ospedali o i supermercati.
Sia chiaro, l’emergenza COVID-19 non è ancora finita e non è quindi da considerare un capitolo chiuso della storia attuale, ciò nonostante si possono fare alcune considerazioni arrivati a questa Fase 2.

Questa quarantena ha sicuramente portato alla luce diversi spunti per sociologi e psicologi, che hanno potuto osservare il comportamento della popolazione costretta ad esprimersi il più delle volte tramite social media o comunque mezzi telematici, portando in risalto ancora una volta l’importanza di questo strumento (immaginate come sarebbe stato questo periodo senza Internet!).
Anche noi di Horizon Psytech ci siamo impegnati tramite il nostro canale Twitch (https://www.twitch.tv/horizonpsvg/) e la nostra pagina Facebook (https://www.facebook.com/psicologiadeivideogiochi/) per fornire uno strumento di intrattenimento tramite lo streaming di videogiochi oppure mediante i nostri webinar come spunti di riflessione e discussione.

Ma un aspetto che sta emergendo ora, finito questo periodo di lockdown e con l’ingresso nella Fase 2, sono i risvolti psicologici: per settimane sui social si è potuto leggere come la gente non vedesse l’ora che questa “prigionia” finisse per poter tornare ad uscire, vedere i propri cari o i propri amici, poter fare attività fisica all’aperto ecc…
In alcuni individui, però, si è osservato che, al termine di questo periodo, questi desideri sono venuti meno.
Gli esperti hanno nominato questo fenomeno “sindrome della capanna”, definendolo come la volontà di continuare a rimanere nel proprio rifugio, in questo caso, nella propria abitazione (in seguito ai mesi di quarantena.) Questa sindrome era già stata riscontrata in Nord America dove, nel periodo invernale, tutte le strutture chiudono con un conseguente provvedimento simile a quello adottato durante questa emergenza sanitaria.
Non si parla però di disturbo scientificamente accertato, non avendo una quantità sufficiente di letteratura che possa supportare studi al riguardo; tuttavia si può subito distinguere e allontanare da altri disturbi come l’agorafobia o come la condizione di hikikomori.
Nel primo caso si fa riferimento ad una condizione patologica di paura degli spazi aperti dove l’individuo prova un sentimento di timore di trovarsi in una situazione in cui non può scappare e dove non può ricevere un eventuale soccorso; questa condizione si manifesta con sintomi somatici quali tachicardia, difficoltà respiratoria e attacchi di panico.
Nel secondo caso si parla di una condizione che si verifica in seguito ad un periodo di volontario isolamento e distanziamento sociale caratterizzato dal desiderio di rimanere nella propria abitazione senza contatti sociali dovuto a cause di tipo caratteriale, sociale, familiare o scolastico/lavorativo (vedi anche https://www.horizonpsytech.com/2017/05/03/hikikomori-e-videogiochi-una-societa-di-avatar/)
Si prenda in considerazione che in questi mesi si è verificato un marcato adattamento sociale da parte della popolazione mondiale che è riuscita a rielaborare la propria quotidianità; analogamente, ora è richiesto un ulteriore riadattamento alla “normalità” e questo per molti risulta comprensibilmente difficoltoso. La riscoperta infatti del proprio ambiente casalingo, dei propri hobby, dalla lettura, alla cucina, ai videogiochi ha permesso di apprezzare questo isolamento e rinforzarlo con sensazioni positive; il ritorno alla normalità, al proprio luogo di lavoro ad esempio, significa inevitabilmente la perdita del tempo posseduto fino a qualche settimana fa e al risultato di questa condizione psicologica.
In ogni caso, qui un grande aiuto viene dato dalla capacità di adattamento dell’essere umano: così come si è riusciti ad organizzarsi all’inizio del lockdown, così sarà possibile ritornare alla normalità, magari facendo tesoro di questo tempo fornitoci e migliorare la propria gestione quotidiana, con al suo interno i ritrovati hobby.
Fonti
https://www.guidapsicologi.it/articoli/le-18-fobie-pi-comuni
https://www.hikikomoriitalia.it/p/chi-sono-gli-hikikomori.html