Qualcuno di noi ricorderà la stretta al cuore che abbiamo provato nel sentire che il rover Curiosity si cantò “Buon Compleanno” da solo, su Marte. Qualcuno ricorderà la profonda tristezza provata al ricevere l’ultimo messaggio di Philae, incastrato in un cratere su una cometa: “C’è nessuno? Devo parlare più forte?“.
L’antropomorfizzazone, cioè l’attribuire caratteristiche psicologiche umane a esseri diversi dall’uomo, è una tendenza comune che abbiamo scoperto essere applicabile anche ai Rover, i veicoli robot che esplorano i corpi celesti. Ma che cosa contribuisce a questa strana declinazione dell’empatia verso delle macchine lontane anni luce dalla Terra? Che cosa ci porta a provare tristezza per un ammasso di chip e rotelle?
1. Il movimento “autonomo”
Un primo aspetto importante che sostiene l’antropomorfizzazione dei rover è il concetto di agency, definita come la percezione di stare interagendo con un essere dotato di intenzioni. Contrariamente a quanto si può pensare, non è un effetto così raro, appannaggio solo degli androidi più avanzati. Da numerosi studi, infatti, emerge come gli esseri umani, a livello inconscio, fatichino a concepire l’esistenza di oggetti che si muovono indipendentemente dalla propria volontà (Bogost, 2012; Banks, 2016). Di conseguenza, alla vista di un rover che si muove ad anni luce dalla fonte del segnale (ma anche del nostro Roomba di casa), una piccola parte di noi tende a percepirli come esseri autonomi e semoventi (dotati quindi di agency), che consciamente decidono di seguire le indicazioni di un “padrone”.
2. La pareidolia
La pareidolia è la tendenza istintiva e automatica a trovare volti e forme umane in immagini disordinate. Si ritiene che questa tendenza sia stata favorita dall’evoluzione, poiché consente di individuare situazioni di pericolo anche in presenza di pochi indizi, ma anche per favorire la socialità. L’essere umano è dunque propenso a individuare tratti di volti anche in oggetti inanimati, ed i rover non fanno eccezione. In un certo qual modo, i rover possiedono degli occhi (le telecamere montate sulla parte superiore) così come delle zampe (cingolate, come quelle di Curiosity, o artigliate, come quelle di Philae).
3. Le Speranze
Parliamo di Opportunity, atterrato su Marte nel gennaio 2004 con l’obiettivo di condurre analisi geologiche sulla composizione del terreno del Pianeta Rosso. Nel dicembre 2014, la NASA ha definito un errore hardware nella memoria di Oppy come eventi di “amnesia” dovuti alla sua età. Arriviamo poi al giugno 2018, quando si è sviluppata una grande tempesta di polvere che ha avvolto l’intero pianeta. Nel giro di pochi giorni, i pannelli solari di Opportunity non sono più stati in grado di produrre energia sufficiente per mantenere le comunicazioni. Il 10 giugno 2018, Opportunity inviò l’ultimo messaggio ai controllori di missione sulla Terra:
“La mia batteria è scarica e si sta facendo buio”.
Ovviamente, Opportunity non era vittima di demenza senile, nè parlava come fanno le persone. Tuttavia, poiché il grande pubblico non è in grado di comprendere le righe di codice comunicate dal rover, la NASA ha preferito che le informazioni fossero trasmesse agli spettatori in parole umane.
Questa, tuttavia, non è solo una mossa pubblicitaria per coinvolgere il pubblico, ma è anche frutto di un sentimento sincero. I rover sono frutto di decenni di sforzi scientifici, e sono gli strumenti per la realizzazione dei sogni dei propri creatori: il progresso della nostra specie.
Nelle parole di Carleton Bailie, fotografo che ha seguito la missione:
“Opportunity era un po’ come un membro della famiglia e quest’ultimo messaggio è stato triste, ma sapevo che aveva avuto una vita fantastica”.
A testimonianza di ciò, il 13 febbraio 2019 la NASA dichiarò la fine della missione inviando ad Oppy la canzone “I’ll Be Seeing You” di Billie Holiday.
Un’empatia tutta umana
L’empatia che proviamo nei confronti dei rover è dunque una caratteristica tutta umana, derivata dalla nostra strada evolutiva. Se questo ci porta, da un lato, a gioire per le conquiste dei rover ed il progresso scientifico, dall’altro l’impatto emotivo rischia di essere devastante.
Dopo milioni di anni, piangere al sentire che il rover Curiosity usò le vibrazioni del vassoio di raccolta dei campioni di terriccio per cantarsi “Buon Compleanno” nell’Agosto 2013, solo e lontano da casa, è diventata nuova quotidianità.