Una novità che da qualche tempo a questa parte sta spopolando nel campo della tecnologia sono gli NFT o Non Fungible Token.
Cosa sono gli NFT?
Gli NFT sono sistemi che permettono di certificare l’unicità di un bene digitale. In poche parole, oggi è possibile avvalersi del diritto di proprietà intellettuale anche di materiale creato e postato online, esattamente come accade per le opere d’arte reali.
Fino a qualche tempo fa l’unica fonte di guadagno di un artista digitale erano le collaborazioni con i brand e le aziende più disparate. Le creazioni personali non potevano essere reclamate ufficialmente come proprie e, si sa, oggi la diffusione e la copia (in modo più o meno legale) di un qualche contenuto presente sul web è molto più facile che nella vita reale.
Così come un Picasso o la Monna Lisa sono considerate opere originali e distinte da tutte le riproduzioni non autentiche, ora anche un post su Instagram o un video di YouTube possono ottenere una certificazione digitale che ne stabilisca il valore e l’unicità.
Questo, tuttavia, non incide sulla fruibilità delle opere, che come quelle reali rimangono comunque a disposizione di tutti per essere ammirate o visualizzate.
Il valore e tutti i processi di compravendita sono regolamentati dalla tecnologia della blockchain, grazie a cui ogni prodotto può essere registrato e scambiato sul mercato.
Quali sono le conseguenze del fenomeno NFT?
In un mondo sempre più digitale, la nascita degli NFT (e quindi di un certificato di originalità) implica sicuramente la possibilità di comprare e investire sulle opere online. Da questo momento si può infatti iniziare a parlare di un vero e proprio fenomeno di collezionismo digitale.
L’interesse per il collezionismo di oggetti è da sempre un’attitudine umana. Infatti, la tendenza a ricercare un pezzo raro ha spesso poco a che fare con il reale valore economico dell’oggetto in questione. Il significato simbolico che assume il possedere un qualcosa di inimitabile è legato al desiderio di unicità e alla volontà di differenziarsi all’interno del proprio gruppo di riferimento.
In un mondo sempre più connesso, non è difficile stupirsi di come il processo di digitalizzazione si sia esteso anche ai prodotti “da collezione”. Ad esempio, l’azienda milanese Bitmond ha di recente sponsorizzato una collezione digitale di diamanti da regalare o da “indossare” su uno smartwatch: i Bitmonds, per l’appunto. Ogni diamante ha un proprio nome ed è unico nel suo genere, nella forma e nei colori.
Rispetto al collezionismo di oggetti reali, i digital collectibles come questi possono essere portati con sé ovunque e in ogni momento e, inoltre, non subiscono l’usura del tempo. Esistono anche veri e propri gruppi di compravendita su Ebay o sul Marketplace del sito ufficiale dove persone da ogni angolo del pianeta possono scambiarsi questi preziosi accessori.
E i videogiochi?
Il fenomeno del collezionismo digitale è molto esteso e riguarda molti ambiti del nostro mondo virtuale.
Tra i videogiochi come dimenticare il fenomeno di Pokémon Go spopolato nel 2016? Milioni di persone in tutto il mondo si sono dedicate per mesi alla ricerca e alla collezione di quanti più “animali” virtuali possibili e tutt’ora il gioco continua a coinvolgere molti appassionati.
A differenza di un progetto come quello di Bitmonds, una piattaforma di gioco come Pokémon Go è decisamente più accessibile e questo rende il collezionismo virtuale un’attività più comune di quanto si possa pensare.
Infatti, collezionismo non implica il solo accumulo di oggetti reali o virtuali, ma in ambito videoludico può riguardare, in senso più ampio, anche la spinta a completare quante più task o mission possibili e nell’ottenere dal gioco il maggior numero di riconoscimenti.
Per concludere
Abbiamo già parlato in questo articolo di cosa spinga i videogiocatori a collezionare obiettivi e ad accumulare trofei online, ma quali meccanismi regolano queste motivazioni interne ed esterne?
L’ottenere un riconoscimento, quale ad esempio sbloccare un livello di gioco, viene tradotto a livello neurale dal cosiddetto circuito della ricompensa, il quale spinge un videogiocatore a ripetere tutti quei comportamenti che danno una sensazione di benessere.
Il tutto è regolato dalla dopamina, un neurotrasmettitore che viene liberato dal nostro organismo ogni volta che ci troviamo in una situazione piacevole o sperimentiamo una qualche gratificazione.
Oltre a questi aspetti biologici dobbiamo, infine, considerare la nostra naturale tendenza all’autorealizzazione, un vero e proprio bisogno fondamentale che ci guida per far esprimere al massimo le nostre potenzialità e la nostra individualità.
La spinta al collezionismo nei videogiochi può essere dunque letta, in questo senso, come il desiderio di costruire una propria identità videoludica che permetta di spiccare tra gli altri giocatori, alla cui base si trovano processi di ricompensa, di realizzazione ed autoefficacia.
BIBLIOGRAFIA
https://news.bitmonds.com/it/news/digital-collectibles-collezionismo-incontra-digitale/
https://www.esportsmag.it/collezionismo-digitale-nft-cosa-puo-dare-agli-esports/
https://www.stateofmind.it/2019/03/autorealizzazione-social/