Qualsiasi videogiocatore che si rispetti ha giocato ad almeno uno degli sparatutto in prima persona: dai più recenti Call Of Duty, Battlefield, Overwatch, o chi proprio grazie a Wolfenstein 3D, Duke Nukem o Half-Life si è approcciato al mondo videoludico.
La caratteristica principale di questo sottogenere dei giochi sparatutto è la visuale: essi infatti sono in prima persona (“First Person”), ed è proprio per questo motivo che hanno suscitato grande interesse nella ricerca psicofisica.
Il fatto di ritrovarsi catapultati nella seconda guerra mondiale o nel castello di Wolfenstein permette al videogiocatore di sperimentare un grado di immersione diverso rispetto ad altri videogiochi come quelli in terza persona, la cui visuale non aiuta a “sentirsi” dentro la scena.
Secondo i ricercatori, basandosi su numerosi studi sperimentali, è ragionevole pensare che i videogiocatori abituali, in particolare coloro i quali prediligono gli FPS, abbiano prestazioni migliori in compiti visuo-percettivi e attenzionali rispetto ai videogiocatori occasionali o addirittura rispetto a coloro i quali non videogiocano (Kristjánsson, 2013).
Per abilità visuo-percettive si intendono quei processi di elaborazione degli stimoli che provengono dai nostri sensi, in particolare dalla vista, per giungere step by step ai processi cognitivi di ordine superiore che permettono di attribuire un significato a ciò che vediamo e percepiamo. Esse ci permettono di interagire con l’ambiente circostante al meglio, dalla percezione all’azione nel mondo.
Ad esempio, la capacità visuo-spaziale ci permette di stimare le relazioni spaziali tra gli oggetti e il rapporto che una persona ha con l’oggetto e come potrebbe agirvi. L’esplorazione visiva è una delle abilità visuo-spaziali più importanti: grazie al controllo del movimento oculare noi riusciamo a osservare al meglio il mondo che ci circonda per carpire più informazioni rilevanti possibili.
Invece i processi attentivi solo quei meccanismi cognitivi che ci consentono di rendere rilevanti alcuni stimoli piuttosto che altri, anche se in realtà non è stata data una definizione univoca.
Da alcune ricerche è stato visto che videogiocando in modo continuativo per circa 10 giorni, possono aumentare le capacità nella attenzione visiva e nelle sue caratteristiche principali, e questo è ovvio dal momento che solitamente queste capacità migliorano con la pratica (Chun & Nakayama, 2000). E’ stato però visto come esse aumentino in maniera esponenziale quando il gioco offre un grado di immersione maggiore, quindi in un FPS. Di fatto Tetris non sarà mai così immersivo come un Golden Eye 007 o un Call of Duty Modern Warfare 2, ma anche il nostro puzzle game ci permetterà di migliorare (Beyko et al., 2012).
Chi videogioca in modo continuativo riuscirà quindi a percepire più velocemente il nazista entrando nella stanza in Wolfenstein, a notare alcuni particolari del movimento di Tracer in Overwatch, o sparare più velocemente agli zombie nella mappa di Kino der Toten di Call of Duty Black Ops 2. Che tu ti trovi in una arena come in Overwatch, o su Marte come in Doom, sono le tue abilità visuo-percettive e attentive a far sì che venderai cara la tua pelle.
A dover di cronaca però in alcuni studi tutto ciò non è stato visto, soprattutto nella differenza tra videogiocatori e non-videogiocatori, ma Kristjánsson e colleghi, che si stanno occupando del tema più recentemente, criticano che tali ricerche siano state fatte sbagliando alcuni aspetti della ricerca.
Bibliografia:
The case for causal influences of action videogame play upon vision and attention (Árni Kristjánsson, 2013).
Sensation & Perception (Jeremy M. Wolfe, Rachel Sarah Herz, 2005).