Dalla savana al salotto
Le tecnologie digitali sono uno sviluppo recente nella storia umana, eppure spesso i videogiochi sembrano proporre sotto vesti moderne delle esperienze che rimandano alle nostre origini. Se la maggior parte di noi non si troverà mai a cacciare o raccogliere frutta, dunque perchè simili attività ci piacciono così tanto all’interno dei mondi virtuali?
Un tentativo di risposta arriva dalla psicologia evoluzionistica. L’assunto su cui si basa è che parte dei nostri comportamenti, preferenze e processi mentali siano stati selezionati e mantenuti perché utili alla sopravvivenza. Il patrimonio genetico che possediamo noi oggi è simile a quello dei nostri antenati risalenti a decine di migliaia di anni fa e ci orienta in aspetti fondamentali, come ad esempio il valutare e selezionare possibili partner.
Viviamo però in un ambiente molto diverso e pesantemente modificato rispetto a quello in cui vivevano loro. Gli adattamenti che la selezione naturale produce non sempre sono adeguati o portano agli stessi risultati. Un ottimo esempio sono gli alimenti dolci, grassi o salati: in natura erano molto rari e dunque non ci stupisce il perché piacciano così tanto. Tuttavia, oggi è possibile procurarseli molto facilmente, con conseguenti abbuffate di cibo spazzatura.
Il mondo moderno ci circonda di quelli che in etologia vengono definiti “stimoli sovranormali”: versioni artificiali di oggetti, eventi e attività che attivano in noi risposte molto antiche, ancor più di quelli che potremmo incontrare in natura. Il virtuale è un’ottima occasione per produrli, superando le limitazioni del mondo fisico.
Perchè giocare?
Un altro aspetto importante riguarda la funzione del gioco in generale. Si tratta di un’attività molto diffusa nei mammiferi (esseri umani compresi), che a prima vista potrebbe sembrare un spreco inutile di tempo ed energie. Eppure lo troviamo piacevole, dunque è probabile che la selezione naturale abbia premiato gli animali che giocavano, perchè in qualche modo portava dei vantaggi. Sembra anche che sia più diffuso e complesso in organismi aventi un periodo di crescita molto lungo, che possa così permettere ai piccoli di praticare quelle abilità che saranno utili per sopravvivere e poi riprodursi.
La nostra specie presenta aspetti di neotenia, ovvero mantiene tratti giovanili anche in età adulta. Questo ci rende particolarmente capaci di imparare e sperimentare, ma anche di godere dei benefici del gioco ben oltre il periodo dell’infanzia, guidati talvolta solo da quel tipo di piacere che chiamiamo “divertimento“ in attività che non sono più così utili nelle nostre attuali vite e per le quali a volte ci sentiamo dire “ma non sei grande per quelle cose?”.
Utilizzare questo punto di vista per osservare il mondo videoludico serve a spiegare come mai, al di là di meccanismi come la ricompensa da dopamina e l’esperienza di flusso, alcuni generi specifici hanno tanto successo. Inoltre, aiuta anche a superare la visione di chi gioca come una “tabula rasa” completamente programmabile dagli stimoli che riceve come nel classico “i videogiochi ci rendono violenti”. Ci porta invece a chiederci: a quali attività e capacità un tempo utili ci riporta questo gioco?
Cacciatori da divano
La caccia era probabilmente per i nostri antenati non soltanto un modo per procurare cibo, ma anche per stabilire delle gerarchie. Per abbattere prede talvolta molto più grandi di loro era necessario collaborare con gli altri membri del gruppo, spesso usando armi da lancio. Sono tattiche che abbiamo usato anche contro i nostri stessi simili, “inventando” la guerra.
Queste dinamiche vengono riprodotte in molti sport singoli e di squadra, pensiamo per esempio al successo mondiale ottenuto dal calcio. Nei videogiochi FPS queste dinamiche diventano altamente accessibili, contribuendo a renderle esperienze supernormali. Tirare con l’arco richiede allenamento e tecnica, mentre per provare l’ebbrezza di abbattere un bersaglio virtuale può bastare la pressione del pollice. I server online ci forniscono possibili alleati ed avversari ad ogni ora, lanciandoci subito nella parte più emozionante dell’attività con scontri brevi ed intensi. Dati e icone sulla mappa ci permettono di navigare il terreno con un’efficienza che sarebbe molto difficile da ottenere in una situazione reale.
Sullo schermo, come nella savana, possiamo poi non solo celebrare i nostri successi, ma anche esibirli. Le migliorie estetiche che vinciamo per i nostri personaggi, così come i trofei da mostrare sul nostro account, sono segni tangibili di un certo status di fronte agli altri giocatori. Inoltre, dato che le comunità online possono essere molto più vaste di quelle dei nostri antenati, aumenta anche il numero di persone con cui confrontarsi.
Mondi da domare
I nostri antenati non erano solo cacciatori, ma anche prede, e dovevano confrontarsi con un ambiente ostile. Riuscire a trovare un rifugio, acqua e cibo era probabilmente una grande soddisfazione per loro. Ad oggi, però, abbiamo imparato a intervenire sulla natura per garantirci tutto questo, anche a costo di correre grossi rischi.
Una situazione non molto diversa da quella dei giocatori di Minecraft, dei vari roguelike ma anche di alcuni gestionali. Sono tutte esperienze di gioco dove il rischio calcolato, l’interazione con l’ambiente e la gestione delle risorse hanno un ruolo centrale. Eccoci quindi a esplorare il buio di una caverna alla ricerca dei materiali necessari per costruire strumenti migliori, cercando di evitare gli attacchi dei “predatori”. Ma con il tempo la sopravvivenza non rimane più l’unico obiettivo e proviamo a costruire strutture sempre più ambiziose o far prosperare la nostra comunità virtuale.
Questo senso di crescita e realizzazione che non sempre ritroviamo nella vita moderna, al tempo stesso ci viene facilitato e sottolineato in modo “sovranormale” dalle meccaniche ludiche. E’ anche per questo che riusciamo a prenderci cura delle nostre risorse virtuali con più attenzione rispetto a quelle reali: essere accaniti giocatori di manageriali non per forza vuol dire essere investitori oculati. Il videogioco poi, anche quando gli ambienti sono generati diversamente ad ogni partita, ci da la possibilità di ricominciare da capo e magari di consultare altri giocatori online per scoprire quali tattiche possano essere più vantaggiose. Riusciamo quindi nel nostro intento di controllare i mondi virtuali più facilmente in confronto a quelli reali, dove la “partita” è una e del tutto unica.
Attrazione ed affetto
Oltre al conflitto e alla sopravvivvenza, un altro fenomeno molto studiato dalla psicologia evoluzionistica sono le scelte legate alla riproduzione. Si tratta infatti del meccanismo che permette contemporaneamente alle specie di continuare nel tempo e di selezionare le varianti più utili alla sopravvivenza. Molti tratti fisici o di personalità che consideriamo attraenti possono servire come indicatori di salute, fertilità, disponibilità ad impegnarsi nel crescere la prole. I cuccioli a loro volta hanno delle caratteristiche che ci stimolano a prenderci cura di loro, come il tono di voce e gli occhi grandi ed espressivi.
La trasposizione di questi fenomeni in ambito videoludico è più evidente se osserviamo le rappresentazioni di genere dominanti fino a non troppo tempo fa nell’industria. Figure maschili forti e spesso aggressive, mentre a quelle femminili era più spesso riservato il ruolo di comprimarie, principesse in difficoltà o oggetti di conquista.
Da notare poi i giochi dove occorre prendersi cura e soddisfare personaggi “carini e coccolosi”, dai Tamagotchi ad Animal Crossing, che appunto basano il loro successo sull’aspetto tipico dei cuccioli e sulle emozioni che essi suscitano in noi.
Il nostro investimento su personaggi virtuali è dato proprio dai loro standard irrealistici. Non solo corpi “perfetti”, ma anche dialoghi ed espressioni studiate appositamente per dare un certo tipo di esperienza nella nostra interazione con loro. In questo senso le relazioni parasociali possono essere viste come una risposta a stimoli sovranormali. Forse anche la diffusione del digitale nei nostri ambienti sempre più artificiali contribuisce a rendere familiari queste presenze e a rispondere a loro come fossero reali.